Dazi alle navi cinesi, tremano gli armatori italiani - PortNews
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Studio Confitarma

Dazi alle navi cinesi, tremano gli armatori italiani

di Redazione

Potrebbe avere ricadute pesanti sull’armamento italiano la proposta di Trump di imporre tasse portuali alle compagnie di navigazione cinesi, alle navi costruite in Cina e a qualsiasi operatore marittimo che abbia nella propria flotta anche soltanto una nave costruita in Cina o una singola nuova costruzione su ordinazione presso un cantiere cinese.

Oltre l’84% degli ordini per la costruzione di navi battenti bandiera nazionale è stato piazzato presso i cantieri cinesi. Lo certifica il Centro Studi di Confitarma nel suo studio sui “Possibili impatti dei dazi Usa sull’industria dello shipping italiano”.

La Confederazione ha analizzato le misure ipotizzate dall’Office of the United States of Trade Representative (USTR) che includono fino a 1 milione di dollari per ogni ingresso in un porto degli Stati Uniti di una nave gestita da un operatore cinese, indipendentemente dal Paese di costruzione della nave;  fino a 1,5 milioni di dollari per ogni ingresso in un porto degli Stati Uniti di una nave
costruita in Cina; fino a 1 milione di dollari per ogni ingresso in un porto degli Stati Uniti di una nave gestita da un operatore che ha in ordine navi in cantieri cinesi (in base alla percentuale in ordine in cantieri cinesi nei successivi 24 mesi).

Il report sottolinea come il 17% della flotta battente bandiera nazionale sia stato costruito in Cina. La tipologia più impattata dalle misure ipotizzate dall’USTR è quella del carico secco (portarinfuse e carico generale), seguita a grande distanza dai traghetti e dalle petroliere.

“Da un’analisi preliminare degli scali nei porti USA nel 2024 di navi commerciali e dell’attuale profilo della flotta nonché del portafoglio ordini delle società che gestiscono le stesse, si stima che le misure proposte potrebbero teoricamente generare dazi portuali (extra fees) aggregati fino a $40-$52 miliardi” scrive Confitarma.

Nello scenario peggiore, le tariffe per le singole navi potrebbero arrivare a 3,5 milioni di dollari per scalo (nel caso di una nave costruita in Cina, operata da una società cinese e con navi ordinate in Cina). L’analisi suggerisce però  che la maggior parte delle navi “interessate” potrebbe subire extra fees comprese tra 1/1,5 milioni di dollari.

Lo studio riporta tre esempi.

Per una portacontainer standard da 10mila TEU impiegata sulla Trans-pacific (Asia-USEC) con tre scali negli Stati Uniti per rotazione, le extra fee di 1/1,5 milioni di dollari per scalo equivarrebbero ad un maggior costo di trasporto effettivo aggiuntivo di 400-600 dollari a TEU, che andrebbe ad aggiungersi alla tariffa di trasporto, che nel 2024 ha raggiunto un valore medio di 3250 dollari a TEU.

Per una standard Capesize che trasporta carbone tra Baltimora e Rotterdam, i costi aggiuntivi di 1/1,5 milioni di dollari per port call equivarrebbero ad 8-12 dollari a tonnellata aggiuntivi di costo effettivo di trasporto (media 2024: 15 $/t, range annuale di 11-22 $/t).

Per una standard MR (min 38kt) che trasporta prodotti da Houston ad Amsterdam, i costi aggiuntivi di 1/1,5 milioni di dollari equivarrebbero a un ulteriore 26/39 dollari a tonnellata di costo effettivo del trasporto (media 2024: 37 $/t, range annuale 26-59 $/t).

“Tali maggiori costi ricadranno sui consumatori statunitensi attraverso la catena di fornitura determinando un aumento della pressione inflazionistica con effetti negativi sulla domanda di
importazioni degli Stati Uniti” si legge nello studio.

“Allo stesso tempo anche la competitività delle esportazioni statunitensi (crude oil, prodotti raffinati ed LNG) potrebbe essere influenzata negativamente, con implicazioni potenzialmente significative per i consumatori europei”.

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