Containership demolita
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Ambiente e shipping

Demolizioni navi, c’è puzza di zolfo

di Marco Casale

Dal 1° gennaio 2020 la percentuale di zolfo contenuta nei bunker navali dovrà necessariamente scendere dall’attuale 3,5% allo 0,5% a livello mondiale. Si tratta di una rivoluzione che avrà ripercussioni profonde nel settore dello shipping.

Gli armatori si trovano di fronte a un bivio: quelli che possono permetterselo proveranno ad ammodernare le proprie navi abbattendo le emissioni di ossidi di zolfo (SOx) attraverso il lavaggio dei fumi con appositi scrubber; tutti gli altri ricorreranno in alternativa al gas naturale liquefatto (GNL), un combustibile pulito che consente di rispettare le direttive Marpol con una riduzione sostanzialmente completa delle emissioni di biossido di zolfo e di particolato e una riduzione del 90% degli ossidi di azoto (NOx).

Un dato è certo: questo nuovo limite imposto con finalità ambientali spingerà molti armatori a demolire un numero maggiore di navi rispetto al passato. Secondo gli analisti di Maritime Strategies International, gli investimenti necessari per convertire una nave a GNL o per installare gli scrubber potrebbero essere tali da costringere gli shipowner alla dismissione di navi relativamente giovani.

Già adesso l’età media delle navi destinate alla demolizione continua ad abbassarsi. Vale soprattutto per le vecchie containership di classe Panamax (capacità da 4.500 TEU) che sono arrivate a fine corsa dopo nemmeno 10 anni di vita e sostituite con quelle da 8mila TEU.

L’anno scorso l’ormai fallito gruppo Rickmers ha ceduto per scrap due boxship di appena 7 anni d’età, facendo così segnare un primato: l’avvio a demolizione delle containership probabilmente più giovani di sempre.

Questa accelerazione potrebbe essere un passo ulteriore nella giusta direzione perché le dimissioni sono una delle misure essenziali per riportare in equilibrio il comparto di fronte al pericolo dell’overcapacity, sempre che il portafoglio ordini mondiale di nuove containership non pregiudichi i risultati raggiunti con lo scrapping.

MSI azzarda una previsione sulle conseguenze pratiche dell’introduzione della tagliola dello 0,5% di zolfo nei combustibili: nel 2019 verranno demolite navi per 315mila TEU, che saliranno a 465mila TEU nel 2020 e a 335mila TEU nel 2021. Numeri importanti ma che non sono certo paragonabili a quelli del 2016, l’anno dei record con oltre 200 unità cedute per scrapping e una capacità complessiva di 699mila TEU rimossi dal mercato.

Con valori di scrap ancora piuttosto sostenuti in alcuni Paesi come il Pakistan, non sorprende che a essere tentate dalla scelta di dismettere naviglio siano anche i proprietari delle bulk carrier. A metà giugno la flotta mondiale delle rinfusiere era infatti costituita da 1.241 unità con alle spalle almeno 18 anni di vita. Per questo segmento Lloyds List prevede per i prossimi anni un incremento potenziale dello scrapping del 46%. Sta di fatto che, al fine di compensare gli onerosi investimenti che li attendono, i loro proprietari non potranno che aumentare le rate di nolo time charter. 

Non saranno poche comunque (anche se in minoranza) le società di shipping che decideranno di puntare sugli scrubber, soprattutto per le navi di grande portata come le capesize fra le bulk carrier e le very large crude carrier tra le navi cisterna.

Quanto alle navi cisterna, sempre Lloyds List ricorda come nel 2017 siano state demolite 17 unità (due in più rispetto all’anno precedente) e che quest’anno sono già state mandate a scrapping ben 15 grandi petroliere. Entro il 2020 verranno poi ritirati dal mercato 43 crude tanker e 40 product tanker. A raggiungere l’anno prossimo l’età anticipata della pensione saranno inoltre 20 metaniere di GNL e 90 gasiere.

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