«I porti italiani hanno in pancia 1,5 miliardi di euro che non riescono a spendere». Per Gian Enzo Duci è questo il vero tema urgente da affrontare in vista di una possibile riforma organica della portualità italiana.
«Occorre non soltanto fare il tagliando alla legge Delrio, che oggi ha più di tre anni sulle spalle. È opportuno mettere mano anche agli aspetti burocratici amministrativi che si sono andati stratificando nel tempo», tagliare insomma «quei lacci e lacciuoli che oggi impediscono ai presidenti delle Autorità di Sistema Portuale di realizzare le opere».
Il presidente di Federagenti non si limita però ad effettuare l’anamnesi del paziente malato (l’Italia dei porti) ma formula anche una diagnosi: «Ho già avuto modo di dire in una recente intervista rilasciata al Secolo XIX che il Modello Genova sta dimostrando di funzionare bene: è probabile che si riesca a completare il Ponte Morandi nei tempi previsti. Sarebbe una delle poche volte nella storia italiana che accade una cosa simile. Perché allora non estendere questo modello anche alle altre infrastrutture?».
Sul tema si era espresso giorni fa il presidente dell’AdSP di Palermo, Pasqualino Monti, definendo la ricostruzione del viadotto sul Polcevera come best practice per la realizzazione in Italia degli interventi di infrastrutturazione: «Condivido appieno le sue osservazioni – dice Duci – con una sola differenza: io sarei favorevole all’ipotesi di trasformare il DL n.109/2018 in una misura ordinaria valida per tutto il sistema portuale italiano, e non solo per singoli casi o per elenchi predefiniti di opere».
Duci afferma di essere d’accordo con quanto ha dichiarato recentemente l’avvocato Maurizio Maresca in un approfondimento curato da Il Foglio: «Il Dl Genova non sospende principi o norme comunitarie ma consente a una struttura commissariale di operare in deroga a norme nazionali che a suo tempo erano state pensate per finalità meritorie».
Quelle norme hanno finito però con il paralizzare le attività esercitate dagli amministratori pubblici: «Da una parte non hanno evitato casi di corruzione o pseudo tali, dall’altra non hanno però nemmeno consentito a chi di dovere di fare le opere. Il Paese è oggi in una situazione di emergenza: gli amministratori delle realtà portuali non dovrebbero essere valutati sulla base della loro capacità di rispettare gli iter procedurali ma su quella di realizzare le infrastrutture che servono per sviluppare traffici e competitività, altrimenti non servono a niente».
Era un po’ questa la convinzione che aveva l’ex ministro alle infrastrutture, Edoardo Rixi, a cui molti riconoscono un ruolo determinante nella predisposizione del DL Genova: «Il suo obiettivo era chiaro: verificare se con opportuni strumenti di deroga fosse possibile rispettare i tempi per la realizzazione di un’opera e poi, in caso di riscontro positivo, portare avanti un percorso di “normalizzazione” delle emergenze, passando dalla trasformazione degli strumenti derogatori in strumenti ordinari. Credo che l’attuale Ministro delle Infrastrutture dovrebbe raccogliere quanto di buono fatto dai suoi predecessori e operare sulla base del principio della continuità amministrativa».
Normalizzare le necessità e urgenze non significa ovviamente far venire meno le attività di controllo della magistratura ordinaria, di quella contabile o della guardia di finanza: «Credo però che i controlli dovrebbero avere come finalità quella di consentire di realizzare le opere in maniera corretta, non di impedirne la realizzazione. Oggi sta invece accadendo questo, si sono praticamente rovesciati i rapporti di causa ed effetto. È qui che dobbiamo intervenire. E subito».