Interventi

Mediterraneo, tra sfide e opportunità

Di sole infrastrutture si muore

di Redazione Port News

«Il nostro Paese non può pensare di acquisire un ruolo veramente strategico nel Mediterraneo se prima non cambia il proprio modello di business, che oggi appare essere troppo schiacciato su una logica meramente infrastrutturale». Dal webinar di SRM il vice presidente di Espo e n.1 dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Orientale lancia un messaggio chiaro: «L’Italia deve cambiare la propria mentalità».

Zeno D’Agostino punta il dito contro un modello obsoleto che ha ormai fatto il suo tempo: «Il salto qualitativo dal punto di vista nazionale – dove per altro il Governo e la Diplomazia devono avere un ruolo fondamentale – non è solo quello di riuscire a portare in Libia la capacità di costruire un aeroporto» dice. «Dobbiamo cominciare, invece, a proporre la costruzione e la gestione di tutta una serie di  infrastrutture a livello mediterraneo. Se non facciamo questo salto non saremo mai all’altezza dei competitor globali».

Le occasioni da sfruttare sarebbe molte. D’Agostino cita a titolo di esempio la procedura di privatizzazione del porto greco di Igoumenitsa su cui possono essere sviluppati «ragionamenti interessanti in tema di sviluppo dello short sea shipping nella relazioni commerciali tra la Grecia e l’Italia».

In questa visione di integrazione di capacita strategico, diplomatica dell’Italia nel Mediterraneo bisogna vincere una sfida importante, «convincere le nostre imprese di costruzione (che esprimono un valore a livello globale) a proporsi quali soggetti gestori di una infrastruttura».

Per il vice presidente di Espo, sarebbe un approccio rivoluzionario che faciliterebbe la vita alle stesse imprese: «Sino ad oggi abbiamo sviluppato un business concentrato soltanto sulla partecipazione ad una gara e sulla costruzione di un’opera. Finita l’opera, bisogna andare a cercare un’altra gara. Se invece le imprese fossero depositarie di una proposta di project financing che includesse anche la gestione, avrebbero innanzitutto maggiori possibilità di vincere una gara, poi assicurerebbero al Paese la possibilità di essere presente in un territorio in modo continuativo nel tempo grazie a un piano di gestione e manutenzione dell’opera costruita».

E’ un ragionamento, quello che fa D’Agostino, che si lega a doppio filo al processo di ridefinizione delle supply chain a livello regionale di cui ha parlato il direttore generale di SRM, Massimo Dendreis, nel suo intervento: «Disastri come quelli di Suez hanno messo in evidenza come le catene logistiche non possano essere più quelle di una volta. Una nave incagliata non può bloccare i traffici globali per 11 giorni».

Per questo occorre creare supply chain più soft. In che modo? «I territori devono essere gestori delle scorte, in modo tale da poter reagire in modo propositivo alle dinamiche del commercio in caso di incidenti simili a quello occorso alla Ever Given».

Questi territori, su cui si andranno a concentrare le supply chain future, «non possono che essere le ZES o i punti franchi doganali» conclude D’Agostino.

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