Caos in Bangladesh. Le proteste contro le quote di assunzione nel pubblico impiego imposte dal governo, che da due mesi infiammano il Paese e che hanno causato sino ad oggi la morte di 409 persone – obbligando per altro la premier Hasina, da 15anni al potere, a rassegnare le dimissioni – stanno di fatto producendo anche forti interruzioni alla catena logistica.
Le manifestazioni, originariamente pacifiche, sono presto deflagrate in scontri e devastazioni, arrivando a un passo dalla guerra civile.
A pagare il prezzo più alto del disordine le oltre 4000 fabbriche tessili del Paese, che rimane il più importante esportatore di abbigliamento al mondo. Molte imprese hanno infatti chiuso i battenti per diversi giorni prima di riaprire, e le esportazioni si sono praticamente fermate, costringendo i porti del Paese ad affrontare non trascurabili problemi di congestione a causa delle limitate capacità operative.
Nella giornata di ieri, dal più importante porto del Paese, quello di Chittagong, sono partiti verso i mercati di destinazione soltanto 329 container da venti piedi. In condizioni normali, dai piazzali dello scalo portuale vengono inoltrati 4000 TEU al giorno. Il porto ha scaricato soltanto 2409 container e imbarcato 1265 TEU nella giornata di ieri. Più di 44mila container da venti piedi sono di fatto rimasti a prendere la polvere nelle aree scoperte del porto, occupando l’80% della superficie complessiva.
Più di 50 navi sono si trovano al momento in rada a 25 miglia nautiche di distanza dal porto, da cui passa il 90% del trade internazionale del Paese.