Geografia e geoeconomia. Per Ercole Incalza il discrimine tra una politica dei trasporti lungimirante e una di basso livello passa dalla conoscenza delle differenze che intercorrono tra queste due materie. «La logica con la quale abbiamo proceduto a realizzare le nuove AdSP è di tipo spartitorio e territoriale, se non feudale» osserva. «Per troppo tempo in Italia abbiamo ragionato di portualità e logistica solo prendendo a riferimento le coordinate geografiche e i confini tra una Regione e un’altra, poco si è fatto dal punto di vista geoeconomico».
Incalza ha vissuto trent’anni della sua vita nel mondo della pianificazione dei trasporti, con incarichi di prestigio quale quello di responsabile dell’attuazione del Programma delle Infrastrutture strategiche previsto dalla Legge obiettivo. Con noi si mostra preoccupato per la piega che sta prendendo la situazione congiunturale macroeconomica: l’ascesa della Cina come grande potenza in grado di sfidare e superare gli USA è un fattore geopolitico che sta influenzando il commercio internazionale e in questo contesto un’Italia priva di una vera visione strategica rischia di vivere la Belt and Road Initiative più come una minaccia che non come una preziosa opportunità. «L’avete visto il Pireo? Pochi anni fa era un cimitero di navi, oggi è un temibile scalo di transhipment. E in Africa le cose non vanno diversamente: Pechino sta investendo svariati miliardi per costruire a Mombasa un moderno hub logistico».
La Grecia, il continente africano con Tanger-Med e Damietta e il Canale di Suez raddoppiato dal quale oggi passano più di 18mila navi all’anno «sono tutti elementi di competitività che mettono i nostri scali portuali di fronte a sfide inedite». Per Incalza si tratta pertanto di capire se il nostro sistema portuale-logistico abbia o meno un futuro: «Tra poco dovremo riunirci per affrontare due questioni strategiche come la rivisitazione delle Reti Ten-T e la definizione operativa e progettuale del programma delle risorse comunitarie 2021–2027. Come ci presenteremo a questo appuntamento?».
Scadenze di questo tipo richiedono una gestione manageriale del sistema portuale italiano: «Il recente dibattito sulla natura delle AdSP prende le mosse da una esigenza rilevante: quella dell’autonomia gestionale e finanziaria». A questo proposito Incalza ricorda come nel 1974 il porto di Livorno decise di radere al suolo diversi villini liberty lungo la costa pur di aumentare la propria capacità di stoccaggio dei container. «Una simile scelta, sia pure portata avanti in assenza di alcuna coerenza generale di pianificazione nazionale, permise allo scalo labronico di raggiungere uno storico record per quei tempi. Si tratta di un esempio di quanti e quali obiettivi può raggiungere un Ente che abbia la capacità di fare impresa, di essere entrepreneur».
Per Incalza le attuali AdSP non sono invece tarate al meglio per affrontare le sfide del commercio internazionale: «Fatta eccezione per il sistema portuale del Mar Ligure Orientale (La Spezia-Carrara), tutti gli altri sistemi sono stati infatti ritagliati sulla base di un criterio meramente territoriale/regionale. Si tratta di una scelta che ha poco senso, così come quella di ipotizzare la creazione delle ZES senza prima aver affrontato il tema dei distretti logistici».
A suo parere le Autorità Portuali dovrebbero essere invece società miste a partecipazione pubblica e privata, capaci di ampliare le tradizionali catchment area: «Penso ad esempio alle sinergie che potrebbero mettere in campo gli scali di Bari e di Bar in Montenegro qualora creassero un’unica società portuale. E mi spingo anche oltre: Genova e Rotterdam da una parte e Trieste e Koper dall’altra potrebbero dar vita a qualcosa di simile».
Occorre insomma adottare un modello di governance che superi i campanilismi locali: «Un’unica super Authority che svolga funzioni di regolamentazione e pianificazione, affiancata a sua volta da non più di sette sistemi portuali di tipo Spa (tanti quanti ne furono individuati con il Piano Generale dei Trasporti del 1987)».