Interviste

Colloquio con Zeno D'Agostino

Una Europa senza visione

di Marco Casale

L’Europa dei porti senza visione. Né sulla Belt and Road Initiative, né, tantomeno, sulle politiche di corridoio.

A pochi giorni dal verdetto delle elezioni europee che ha cambiato, senza sconvolgere, gli equilibri all’interno dell’Europarlamento, Zeno D’Agostino avverte: «È necessario che l’UE sviluppi una propria idea sulla Via della Seta, nei confronti della quale, per lo meno sino ad oggi, è risultata essere troppo passiva».

Il numero uno dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Orientale invita chi di dovere ad andare oltre gli equilibrismi politici che anche nel recente passato hanno spesso costretto l’Europa a trovarsi in balia di spinte contrapposte: «All’azione cinese è sino ad oggi corrisposta da parte di Bruxelles una ridda di reazioni non sempre ragionate, come dimostrano le recenti preoccupazioni per la volontà dell’Italia di firmare il Memorandum of Understanding con Pechino».

Il vice presidente dell’European Sea Ports Organisation (Espo) chiede un salto di qualità: «Non posso accettare che l’unico nostro approccio al tema sia quello di limitarci a dire che dobbiamo essere uniti nell’affrontare la politica espansionista cinese. Non è sufficiente».

Così come non è sufficiente quello che l’UE sta facendo in favore dell’internazionalizzazione delle logiche di corridoio al di fuori dei confini europei, tema su cui – a detta di D’Agostino – Bruxelles ha sviluppato un ragionamento geopolitico parziale, funzionale più che altro all’obiettivo di sostenere il rafforzamento del processo di integrazione eurasiatica nell’ex spazio sovietico.

«Per la prima volta in assoluto verranno investiti con il Connecting Europe Facility  6,5 miliardi di euro nelle infrastrutture di trasporto a duplice uso civile-miltare. Tale iniziativa, che ha il pregio di individuare nuove opportunità di collaborazione all’interno di un sistema trasportistico sempre più paneuropeo, ha però un unico sviluppo territoriale extracomunitario, che è quello dell’Est Europa».

Che fine ha fatto il Mediterraneo? È questa la domanda che D’Agostino vorrebbe rivolgere agli eurocrati: «In realtà, l’Europa è ancora oggi troppo nord-centrica», ammette.

Il presidente del porto di Trieste pensa al contenzioso fiscale di Bruxelles contro l’Italia in materia di aiuti di Stato e tassazione cui dovrebbero essere sottoposte le port authority per l’attività economica svolta: «Quando l’UE afferma che il mancato pagamento delle imposte determina una alterazione della concorrenza, si ha l’impressione che rifletta utilizzando una visione condizionata dalla realtà portuale nordeuropea».

Per l’ex presidente di Assoporti bisognerebbe invece avere il coraggio di uscire dalla ridotta di un rigorismo miope e considerare la peculiarità del contesto competitivo mediterraneo in cui i operano nostri scali: «I porti italiani non competono soltanto con quelli comunitari mediterranei, ma anche con gli omologhi del Nord Africa e del Medio Oriente, dove non esistono le regole europee».

L’UE dovrebbe invece cercare di riportare a galla quella visione sulle Zone di Libero Scambio del Mediterraneo di cui parlava anni fa l’ex commissaria ai trasporti Loyola De Palacio: «Credo che Bruxelles debba lavorare di più e meglio per valorizzare il posizionamento strategico dei porti che si affacciano sul Mare Nostrum».

In che modo? «Rafforzando i legami con i paesi del Nord Africa e con quelli del Medio Oriente attraverso maxi iniziative infrastrutturali e di estensione delle logiche di corridoio che coinvolgano imprese, infrastrutture e istituzioni».

D’Agostino parla chiaro:  «É prioritario che l’UE cominci a offrire finanziamenti e progetti per realizzare, anche al di fuori del contesto europeo, strade, ferrovie, porti e altre opere infrastrutturali». Si tratta di una strategia che va saputa sviluppare «in modo armonico con linee guida strategiche in grado di identificare i piani di integrazione globale dello spazio comunitario».

Ecco la via da seguire.  Non esiste un’alternativa, a meno che non si voglia lasciare libero campo ai cinesi («che in Africa sono presenti e fanno valere, legittimamente, i loro interessi») e a paesi come la Germania, «che, a differenza di tutti gli altri Stati comunitari, sa portare avanti politiche di espansione all’estero, adeguatamente sostenute dal Governo e dalle grandi imprese tedesche».

Allo stesso modo andrebbe trovata la quadra sul tema della Autostrade del Mare: «Oggi, in virtù di una logica che considero prettamente ragionieristica, vengono finanziate al cento per cento le linee di connessione tra due paesi dell’UE, mentre quelle che coinvolgono un paese membro e uno non comunitario sono finanziate solo per la parte di competenza europea. Questa modalità è fortemente limitante nel contesto mediterraneo. Si tratta di una politica miope che non sfrutta le potenzialità date dalla cooperazione tra i nostri porti e quelli extra-UE. E pensare che l’Africa potrebbe veramente diventare per noi un continente di opportunità: pazzesco che sino ad oggi nessuno sia riuscito a trovare una soluzione a un tema così importante».

Quale sia il perché di questo atteggiamento remissivo è presto detto: «A Bruxelles siamo governati da burocrati che verificano in maniera asettica e a volte illogica il rispetto delle nostre normative. Tutto legittimo, ma sembra finita l’era in cui a Bruxelles ci si applicava a sviluppare visioni strategiche oltre che norme».

Una politica fondata sulla gestione dell’esistente, e senza alcuno slancio visionario sui temi trasportistici e geopolitici, va poco lontano. Questa premessa porta D’Agostino a fare un’amara riflessione: «Sembra quasi che oggi le dittature e gli stati autoritari volino più alto e funzionino meglio delle nostre democrazie, almeno per quanto riguarda questi temi. Basti vedere come lavorano in Cina, negli Emirati Arabi, o in Marocco, per rendersene conto. I nostri sistemi democratici appaiono rissosi e inconcludenti. Anche questo è un importante tema di discussione, agiamo in fretta altrimenti non stupiamoci del progressivo cambio di mentalità dei cittadini a livello globale».

Torna su