La decisione di Maersk di far transitare una sua containership lungo la rotta artica potrebbe presto cambiare il destino del commercio globale. Le dimensioni della nave rompighiaccio scelta dal colosso marittimo per effettuare la traversata non sono certo da guinness dei primati – la Venta è infatti una 3600 class type, ovvero un topolino rispetto ai mammut da 20mila TEU che oggi giorno fanno da spola tra l’Asia e l’Europa – ma appare significativo come ad aver intrapreso questa nuova avventura sia proprio uno dei più grandi operatori al mondo.
La compagnia danese è stata chiara circa le sue reali intenzioni: l’avventura tra i ghiacci del Mare del Nord è in realtà un test: non si tratta dunque del lancio di un nuovo servizio commerciale attraverso l’Artico. Anche volendo, una prospettiva simile sarebbe altamente irrealizzabile. Per lo meno nel breve termine, tenuto conto dei costi ancora troppo alti per percorrere la Zona Economica Esclusiva della Russia.
Prima di tutto ci sono i permessi amministrativi da ottenere, che il Cremlino rilascia a caro, carissimo prezzo. Poi sono necessari ingenti investimenti per l’acquisto di unità iced-classed e, soprattutto, per il noleggio dei rimorchiatori: sembra infatti che il presidente Putin abbia imposto che qualsiasi carico di merce che transiti lungo la tratta a nord di Mosca sia scortato da navi rompighiaccio russe.
Per sfruttare adeguatamente il passaggio a Nord-Est, le compagnie dovrebbero inoltre far navigare le proprie navi a una velocità maggiore rispetto a quella cui sono abituate quando effettuano il transito passando da altre rotte. Altro che slow steaming: per razionalizzare i costi, la traversata va fatta nel più breve tempo possibile, bruciando litri e litri di carburante.
Oggi il prezzo del bunker si aggira attorno ai 100-120 dollari a barile e non a caso tre top carrier mondiali – Maersk, MSC e CMA CGM – hanno recentemente annunciato una maggiorazione delle tariffe dei propri servizi necessaria per compensare i costi del combustibile navale, aumentato del 30% rispetto a inizio anno e del 70% rispetto a giugno 2017.
Se poi a tutto questo aggiungiamo l’alto costo delle assicurazioni, si può intuire come al momento la North Sea Route non sia conveniente. E non lo sarà fino a quando non ne verrà assicurato il transito per tutti i mesi dell’anno.
Certo, c’è da scommettere che la Russia farà di tutto per rendere questo passaggio commerciale sempre più attrattivo. Mosca è infatti interessata allo sfruttamento economico e militare dell’Artide e a favorire le sue ambizioni geopolitiche potrebbe essere il pericoloso scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale, che non obbligherebbe più all’utilizzo delle costosissime rompighiaccio.
Che sia tra dieci o vent’anni, l’apertura della rotta condizionerà comunque gli snodi tradizionali del commercio marittimo come il canale di Suez, che pratica tariffe che tra luglio 2017 e giugno 2018 hanno generato ricavi per 5,5 miliardi di dollari.
Sulla base di una analisi effettuata dal CBC Netherlands Bureau for Economic Policy Analisys, la North Sea Route potrebbe ridurre il traffico attraverso Suez di due terzi dei volumi. In un presente dove i Canali di Panama e Suez stanno raggiungendo la propria massima capacità di traffico, la NSR si candida così a essere il futuro dei collegamenti tra Asia ed Europa. E i primi a beneficiarne sarebbero gli scali portuali del Northern Range, che si troverebbero prossimi ai ricchi mercati del Far East.
E il Mediterraneo? Con lo scioglimento dei ghiacciai polari potrebbero squagliarsi anche i suoi volumi di traffico, con conseguente declassamento a scenario secondario degli scambi commerciali internazionali.