© Michela Canalis
Interviste

Colloquio con Enrico Paglia

Greggio, tanta confusione sotto il cielo

di Marco Casale

«Affrancarci gradualmente dalla dipendenza dalle importazioni di gas, petrolio e carbone russi, non sarà un’impresa facile. Se consideriamo che le materie prime energetiche non sono al momento sanzionate, la situazione rimane comunque molto fulida».

La previsione tracciata da Enrico Paglia è di quelle in cui è difficile capire che cosa sperare per il futuro e che cosa temere. Al pari degli altri, lo shipping analyst di Banchero Costa, tra le principali società di brokeraggio marittimo nel mondo, non la sfera di cristallo e non azzarda ipotesi avventate: «Non possiamo prevedere quanto durerà la guerra e, conseguentemente, per quanto tempo, ancora, le sanzioni economiche impatteranno sugli equilibri geopolitici mondiali» dice, «Ciò che immagino è che Mosca non sia più ritenuta un partner affidabile».

Quel che è certo è che la crisi attuale sta avendo e avrà ricadute importanti sul commercio di petrolio. «E’ un fatto che Mosca sia il secondo più grande esportatore al mondo di greggio – aggiunge l’esperto -, l’ex impero sovietico è uno dei player principali non soltanto del mercato energetico ma anche di molte altre commodity. Il 25% delle esportazioni di grano a livello mondiale proviene dall’Ucraina e dalla Russia, quindi dal Mar Nero».

E’ anche per questo motivo che «l’Europa e l’Inghilterra hanno deciso di non sanzionare i prodotti energetici di provenienza russa” spiega Paglia, cui preme però sottolineare come, a prescindere da quello che decideranno i singoli paesi, molti colossi energetici abbiano già annunciato il blocco degli acquisti di greggio russo. «La Total francese, l’italiana EnI e la Shell britannica, stanno andando in questa direzione» dice.

La questione più importante, comunque, sarà quella di capire come reagirà l’Estremo Oriente nel breve e medio periodo. «Ad oggi, nonostante le pressioni dell’Occidente, non abbiamo notizie di una imminente interruzione dei rapporti commerciali tra Cina, India e Russia. Anzi…».

Paglia sottolinea come entrambi i Paesi siano in trattative con Mosca per scambiare in rupie e renminbi i loro acquisti di petrolio dalla Russia. «Si tratta di una mossa dettata dalle necessità contingenti, ovvero dall’impossibilità di utilizzare il dollaro americano negli scambi commerciali del crudo» afferma l’analista, anche se è chiaro però che i colloqui avviati in estremo oriente con la Russia sui contratti petroliferi al prezzo di monete di scambio diverse da quella sttaunitense potrebbero impattare sul dominio del dollaro americano sui mercati energetici.

Il ruolo degli Stati Uniti, comunque, non viene messo in discussione: «Washington è ad oggi uno dei player strategici nella politica di diversificazione delle fonti di approvigionamento energetico dell’Italia e di altri Paesi europei. Impossibile, peròl, che gli USA riescano da soli a soddisfare il fabbisogno energetico europeo: la loro produzione di greggio si attesta su livelli inferiori a quelli del 2019. Viaggiamo intorno agli 11,5 milioni di barili al giorno di produzione, contro il picco dei 13 milioni di barili di tre anni fa».

Intanto, dopo l’impennata delle settimane precedenti, il prezzo del barile si è attestato attorno ai 100 dollari al barile, un valore Brent in decisa discesa rispetto a quello della giornata precedente. A far calare le quotazioni non sono tanto gli sviluppi positivi delle trattative sul nucleare iraniano o le aspettative di pace che i colloqui diplomatici tra Russia e Ucraina hanno appena fatto intraverde, quanto, invece, la pandemia.

«Si stanno moltiplicando, in queste ore, i timori della tenuta della domanda da parte della Cina, tornata alle prese con una grave ondata di Covid-19. Le misure di Lockdown per contenere la diffusione del virus hanno già coinvolto 37 milioni di persone».

Si tratta di una brusca contrazione: «Il Covid continua ad essere una incognita nelle dinamiche commerciali, tanto quanto la guerra in Ucraina e la questione iraniana» conclude Paglia.

«Va detto, però, che un nuovo accordo con l’Iran potrebbe favorire l’immissione nel mercato energetico di circa 1,5/2 milioni di barili di petrolio al giorno, contribuiendo a ridurre ulteriormente le quotazioni del greggio».

Torna su