Le notizie di quest’estate sull’oil&gas sono due: l’accordo intervenuto fra Italia e Grecia sulla delimitazione delle acque comuni e il nuovo tentativo da parte di esponenti ambientalisti di bloccare per sempre la ricerca in acque italiane.
Seguendo la Convenzione di Montego Bay, nella propria zona economica esclusiva lo Stato gode di diritti sovrani sia ai fini dell’esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo, sia ai fini di altre attività connesse con l’esplorazione e lo sfruttamento economico della zona, quali la produzione di energia derivata dall’acqua, dalle correnti e dai venti.
Nel giugno 2020 l’Italia e la Grecia hanno raggiunto un accordo sulla delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive. Non esistono ancora mappe ufficiali con le coordinate di questa linea di demarcazione, ma un punto chiave è stata la definizione della piattaforma continentale di alcune isole minori situate a nord di Corfù, le isole Diapontie, che sono la parte di territorio greco più vicina all’Italia e sono decisive per i confini marittimi con l’Italia (e anche l’Albania).
L’Italia ha commentato che si tratta di “un accordo che aiuterà i pescatori italiani”, senza nemmeno menzionare il fatto che sotto la superficie dello Ionio c’è un grande giacimento di gas chiamato Fortuna Prospect, che dovrebbe essere diviso a metà fra i due paesi.
Atene ha invece presentato l’accordo come un suo successo internazionale, con la riaffermazione dell’applicazione di Montego Bay nella definizione delle ZEE. Ovvero rinnovando il concetto fondamentale che le isole, anche quelle più piccole, contribuiscono alla formazione di queste aree marittime, essendo dotate di una propria piattaforma continentale (cosa che ad esempio un’altra nazione vicina alla Grecia, cioè la Turchia, nega risolutamente).
Nel frattempo, la Grecia aveva già iniziato l’esplorazione nel Mar Ionio, e ha perforato i primi pozzi del Fortuna Prospect in un’area vicino al nostro confine. Il serbatoio sembra essere unico, situato a metà strada tra l’Italia e la Grecia. Dopo la moratoria di 18 mesi sui nuovi piani di ricerca in mare (annunciata dal Governo italiano a marzo 2019), l’Italia aveva interrotto ogni attività, invece la Grecia si sta spingendo avanti e si porterà a casa tutto il gas senza lasciare nulla all’Italia. Il paradosso è che Atene potrebbe inviare parte del gas Fortuna attraverso il gasdotto TAP e rivenderlo al nostro Paese.
Nel bacino Adriatico troviamo anche la Croazia come protagonista, anche se noi controlliamo oltre il 50% della superficie del mare Adriatico, così lasciamo ai vicini l’iniziativa, un perfetto esempio della sindrome di NIMBY (Not In My Back Yard).
La Croazia stava esplorando attraverso Edina (una joint venture tra Edison e la croata Ina), che però dal 2020 lavora solo per Ina. Ci siamo esclusi da soli, e non solo in Adriatico.
La moratoria su ogni attività di ricerca in mare potrebbe trasformarsi in un disastro per l’Italia anche dal punto di vista legale: i colossi dell’energia hanno già avvisato di essere pronti a portare il Governo in tribunale. Ad esempio, un progetto che è stato interrotto è l’”Ombrina Mare” di fronte alla costa abruzzese. L’operatore britannico Rockhopper ha deferito il caso ad arbitrato, rivendicando 13 milioni di dollari in penali. Ecco cosa succede se il Governo ascolta il movimento “No triv”.
Bisogna anche considerare che l’estrazione di gas a chilometro zero avrebbe un impatto significativo sull’economia portuale, ad esempio per le manutenzioni, la logistica, il bunkeraggio, le costruzioni. La nostra inattività crea una perdita economica, oltre che una perdita sociale e professionale: saranno quindi i porti croati, montenegrini, albanesi e greci a crescere e produrre ricchezza per imprese e lavoratori. Una doppia perdita.
Dal 2013 al 2017 sono stati perforati solo 7 pozzi esplorativi in Italia, e in particolare nessuno in mare, dove l’ultimo pozzo è stato perforato nel 2008. Nemmeno i paesi più virtuosi su questo tema decidono, all’improvviso, di interrompere tutte le attività minerarie.
La prospettiva mette in ginocchio l’industria del petrolio e del gas, compresa l’industria chimica e la produzione connessa. Solo a Ravenna sono in bilico circa 7.000 lavoratori, che verrebbero licenziati se le ricerche dovessero interrompersi per sempre, in tutt’Italia tali lavoratori a rischio sarebbero 20.000.
Il gas naturale resta l’energia fondamentale per la transizione energetica verso energie più pulite. Nel 2018 l’Italia ha consumato più di 70 miliardi di metri cubi di gas per riscaldamento, elettricità e uso domestico. Non dimentichiamo poi che gli italiani si sono già espressi sull’argomento: nel 2016 c’è stato il referendum No-triv, e i votanti non hanno nemmeno raggiunto il quorum. Dobbiamo uscire dagli slogan, non si fanno rivoluzioni in un giorno.
È vero che il Governo italiano aveva messo a punto un “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”, ma non si conosce il calendario per la sua attuazione, mentre invece è sicuro che il governo sta cercando di infilare nel Decreto Semplificazioni una piccola clausola che blocca la ricerca.
L’interruzione dell’esplorazione influisce anche sulla sicurezza del nostro approvvigionamento, esponendo il nostro paese a una maggiore dipendenza dall’estero. Un aspetto strategico che sfugge a molti governanti.
È probabile che l’ambientalismo politicamente corretto produca nuova disoccupazione e quindi aumenti le disuguaglianze. La sostenibilità ambientale, che è un traguardo di tutto rispetto, si raggiunge solo se accompagnata da sostenibilità sociale ed economica, altrimenti nessuno ne trarrà beneficio.
Per capire l’enormità di questa rinuncia dell’Italia, basta guardare ai paesi del Mediterraneo orientale, o a quelli dell’Asia Pacifico, che non guardano in faccia a nessuno e scaldano i motori delle proprie cannoniere e dei propri jets, pur di rintuzzare le pretese dei paesi vicini sui giacimenti che si trovano nelle acque della propria ZEE. Noi alziamo bandiera bianca senza nemmeno essere attaccati.