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Focus

Occupazione femminile e parità di genere

I trasporti non sono un settore per donne

di Redazione Port News

La presenza delle donne nel segmento dei trasporti arriva oggi al 22% a livello europeo ma nel segmento marittimo siamo al 20,2% del totale. Soltanto il 2% della forza complessivamente impiegata a bordo delle navi è di sesso femminile. Sono questi i numeri presentati stamani dalla presidente di Espo, Isabelle Ryckboost, nel corso della giornata focus nazionale, Women in Transport, coordinata da Assoporti e dedicata alla lotta alle diseguaglianze.

Numeri impietosi, che fotografano ancora oggi una situazione di arretratezza sulle parità di genere, in un settore che per altro si caratterizza per una evidenza criticità di gap pay gender: in media, la differenza retributiva tra uomini e donne è pari al 45%.

«Sul settore agiscono marcati stereotipi di genere», afferma Linda Laura Sabbadini, pioniera delle analisi di genere dell’Istat. Intervenendo al convegno, la Sabbadini sottolinea come ci sia un’immagine distorta del settore: «Si ritiene, a torto, che determinati lavori non siano adatti alle donne ma non si tiene conto dei grandi processi di innovazione che stanno cambiando il mondo».

La sostenibilità ambientale, la mobilità sostenibile, la digitalizzazione sono tutti temi centrali che, secondo la dirigente ISTAT, daranno una importante spinta di rinnovamento ai trasporti e alla logistica, ridefinendo anche in modo più evidente rispetto al passato il ruolo delle donne. «Le donne – afferma l’esperta – sono solitamente dotate di capacità organizzative e di pianificazione e sono esse stesse portatrici di innovazione. Potrebbero dare un contributo importante a questo ramo professionale, in termini di crescita e di innalzamento delle qualità lavorative».

L’Italia, purtroppo, è drammaticamente indietro in questo campo: «Non siamo un Paese dove l’occupazione femminile è particolarmente sviluppata – afferma ancora la direttrice ISTAT -, sui tassi di occupazione femminile siamo in fondo alla graduatoria europea, non arriviamo nemmeno al 50% del totale».

La crisi pandemica ha sicuramente contribuito a creare nuove difficoltà: «A differenza di quanto visto con le crisi economiche dei recenti anni, che hanno principalmente colpito il settore dell’industria, quella innescata dalla diffusione del Virus ha impattato sul segmento dei servizi, dove notoriamente le donne sono più presenti e dove rivestono posizioni spesso precarie se non irregolari».

La pandemia l’hanno pagata le donne, molto di più degli uomini: «Il Governo italiano non è riuscito a proteggere adeguatamente la parte femminile nel mercato del lavoro».

Il problema sulla parità di genere nasce però da lontano e si trascina da decenni: «Al progessivo ingresso delle donne nel mercato lavorativo, non hanno fatto riscontro adeguate misure di sostegno anche in termini di welfare».

Mentre nei Paesi nordici i vari Governi hanno saputo assumere un ruolo proattivo a sostegno dell’occupazione femminile, con politiche di condivisione a favore dei servizi educativi, della prima infanzia e della cura, «l’Italia non ha saputo togliere dalle spalle delle donne quel carico di lavoro famigliare che da noi è particolarmente accentuato».

La Sabbadini ne è convinta: «Nel nostro Paese abbiamo pagato l’assenza di politiche che evitassero alle donne di dover scegliere tra la famiglia e il lavoro. Molte leggi, varate nel corso del tempo, sono infatti rimaste lettera morta».

La direttrice ISTAT pensa alle legge sui nidi pubblici, del 1971 (solo il 12% dei bambini usufruisce oggi di tale servizio) o alla legge del 2000 sui congedi parentali. «Sono fondamentalmente rimaste inapplicate per la mancanza di finanziamenti adeguati. Anzi, spesso questi servizi sono stati tra i primi ad essere stati tagliati quando si è trattato di incidere sulla riduzione della spesa pubblica».

Per la Sabbadini c’è un problema serio: «La crisi pandemica ha dimostrato che le nostre infrastrutture sociali non sono adeguate. Il Covid.19 ci ha presi alla sprovvista, ma se fossimo stati più forti sul fronte dei servizi sociali, sanitari, forse oggi parleremmo di numeri diversi».

Le nuove sfide aperte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza possono però definire nuovi paradigmi e modelli sociali. Ne è certa anche la direttrice del Master in Diritto Marittimo, Portuale e della Logistica dell’Università di Bologna, Greta Tellarini: «Il Governo italiano sta andando nella direzione perseguita dagli obiettivi definiti dall’Agenda 2030». Anche nel settore marittimo portuale si intravedono dei segnali di cambiamento: «Il Patto sulla Parità di Genere sottoscritto da Assoporti e dalle Autorità di Sistema Portuali presenta evidenti punti di forza per incidere in maniera sistematica sulla trasformazione dei modelli culturali e organizzativi del settore».