Secondo un nuovo rapporto della World Trade Organization (Wto), la crescita del commercio mondiale dovrebbe stabilizzarsi al 2,7% nel 2024. La WTO, che aveva in precedenza previsto per l’anno un’espansione del 2,6%, ha spiegato che le attuali stime al rialzo sono una diretta conseguenza dell’allentamento della spinta inflattiva e della decisione delle banche centrali di tagliare i tassi di interesse, dando con ciò un nuovo stimolo ai consumi.
Le previsioni della WTO non indicano tuttavia una crescita omogena del commercio globale. L’Organizzazione prevede infatti che le esportazioni asiatiche cresceranno più velocemente di quelle di qualsiasi altra regione, con un aumento fino al 7,4%”. Seguono il Medio Oriente (4,7%), il Sud America (4,6%), l’Africa (2,5%) e il Nord America (2,1%) mentre in Europa l’import farà registrare una battuta d’arresto (-1,4%).
Dal lato delle importazioni, la regione in più rapida crescita sarà il Medio Oriente (9,0%) seguito da Sud America (5,6%), Asia (4,3%), Nord America (3,3%), Africa ( 1,0%). Europa fanalino di coda, con un calo del 2,3% rispetto al 2024.
Il nuovo rapporto chiarisce che le stime per il 2025 sono invece più incerte del solito a causa della presenza di considerevoli rischi di ribasso. L’escalation del conflitto in Medio Oriente è uno di questi e potrebbe continuare ad avere ricadute negative sui flussi commerciali globali e regionali anche nel prossimo futuro, con un effetto domino in altre regioni, a causa dei problemi di interruzione della catena logistica e del possibile aumento dei prezzi dell’energia. Inoltre, le politiche monetarie divergenti tra le principali economie potrebbero portare a volatilità finanziaria e ostacolare il commercio.
La WTO sottolinea non a caso che nel 2025 la progressione del commercio mondiale segnerà un aumento più contenuto rispetto a quello previsto, pari al +3%, in ribasso di 0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni precedenti.
Oltre alla situazione geopolitica incerta, c’è anche un altro fattore che nel 2025 potrebbe avere un effetto devastante sull’andamento del commercio, ed è la possibile recrudescenza delle ostilità tra i lavoratori portuali della costa orientale degli Stati Uniti e la parte datoriale, rappresentata dall’USMX
Come noto, lo scorso 4 ottobre le parti hanno dichiarato di aver raggiunto un accordo provvisorio sui salari, concordando di estendere il Contratto Nazionale fino al 15 gennaio 2025, così da poter tornare al tavolo delle trattative e negoziare tutte le altre questioni in sospeso, a cominciare dal tema dell’automazione, vista dai lavoratori come uno spauracchio, un’arma formidabile per aumentare l’efficienza dei terminal a danno però dell’occupazione.
In un post pubblicato ieri su Facebook, l’ILA rimarca che la prospettiva di un nuovo sciopero rimane sul tavolo. I lavoratori – afferma il sindacato – non esiteranno ad incrociare di nuovo le braccia se non verranno presi seri provvedimenti per evitare che le nuove soluzioni tecnologiche si traducano in una perdita dell’occupazione in porto.
Secondo Drewry, le incertezze geopolitiche in Medio Oriente, la prospettiva di nuovi scioperi in America e l’aumento delle tasse sul carbonio a partire dal prossimo gennaio, potrebbero avere un impatto inflazionistico sul mercato del trasporto marittimo, andando così a tamponare, se non annullare, gli effetti negativi dati dall’immissione prevista per il prossimo anno di ulteriori tre milioni di TEU di capacità.
Per Drewry, la riapertura del Mar Rosso potrebbe contribuire ad aumentare la capacità di trasporto marittimo di circa il 25% ma “è altamente improbabile che ciò accada prima del 2026” avverte il l’analista della società di consulenza, Philip Damas.
La società di analisi ne è convinta: sebbene abbiano preso, ormai da mesi, una china discendente, è praticamente impossibile che i noli spot tornino ai livelli pre-pandemici, rispetto ai quali mantengono oggi valori superiori dell’87%.