Brano tratto da “Mémoires secrets et critiques des Cours, des Gouvernements et de Mœurs des principaux Etats d’Italie” (Parigi, 1793-1794)
La repubblica di Genova contava Livorno tra i suoi possedimenti; ma a quell’epoca non era che un forte ai piedi del quale sorgevano alcune capanne. Il suo porto esisteva, ma era così angusto che i bastimenti più piccoli vi entravano a malapena. I fiorentini l’acquistarono nel 1421 per centomila scudi; ripararono e ingrandirono la fortezza e vi posero un faro. Carlo V se ne impadronì come pegno della sottomissione dei due Medici, Alessandro e Cosimo.
La località era poco abitata a causa della vicinanza delle paludi che rendevano l’aria assai insalubre. Cosimo il Grande, disperando di riuscire a prosciugare le paludi di Livorno come aveva fatto per le campagne di Pisa, aveva destinato quest’ultima città a divenire l’emporio commerciale della Toscana, e continuava ad attirarvi gli stranieri. Sul finire della sua vita riprese il progetto di rendere Livorno emula di Pisa. Le navi straniere che venivano a gettarvi l’ancora malgrado l’insalubrità dell’aria, lo avevano confermato in questa idea che la morte gli impedì di portare a compimento. Il suo successore Francesco, meno grande ma più amato, gettò le fondamenta della città, spese molto per trasformare i pantani in palazzi perché la sua onestà gli impediva di impadronirsi dei terreni senza acquistarli, e i proprietari glieli fecero pagare assai cari. La prima pietra fu posta il 28 marzo 1577. Tante cure furono rese pressoché inutili dagli sforzi congiunti di ebrei, barbareschi e veneziani, che intrigarono presso la Sublime Porta e impedirono che il trattato commerciale stipulato avesse effetto.
La gloria di aver reso Livorno una delle città più ricche dell’universo spettò a Ferdinando I. Le paludi completamente prosciugate, il porto ingrandito, o piuttosto costruito di bel nuovo, reso capace di contenere i vascelli più grandi, e difeso dalle necessarie fortificazioni, attestano la cura costante di questo principe per la prosperità del commercio. Per attirarvi più sicuramente gli stranieri, egli vi stabilì la libertà di tutti i culti. I suoi successori hanno più o meno seguito le sue orme; la politica ha costretto i meno tolleranti a sopportare l’esercizio di più religioni.
La statua di Ferdinando si erge giustamente nel porto stesso. È raffigurato in piedi, circondato da schiavi. Questo monumento, molto bel eseguito, non è come tanti altri il frutto dell’adulazione di alcuni cortigiani, non è costato lacrime alla vedova o all’orfano: è l’espressione della riconoscenza di un popolo di cui il granduca fece la felicità. La sola che sarebbe da augurarsi, ma che non si è potuta ottenere prima del regno della libertà, è che invece di circondar la statua di Ferdinando di schiavi, il cui atteggiamento umile rattrista lo sguardo del filosofo, lo si fosse circondato delle virtù che gli erano proprie. La giustizia, l’umanità, la beneficenza e la bontà sono le compagne convenienti alla raffigurazione di quel principe costruttore.
La crescita progressiva di Livorno è avvenuta a spese della città di Pisa. La loro vicinanza ha accelerato la decadenza della seconda. Sotto il regno di Cosimo III, il porto di Livorno era meno frequentato. Quel principe era devoto, e di conseguenza intollerante. Odiava tutti coloro che non professavano la sua stessa religione. Alcune dispute fra protestanti e cattolici gli offrirono l’occasione di mettere in luce la sua parzialità in favore di questi ultimi. Quella condotta impolitica allontanò i mercanti e il commercio languì per la durata del suo regno. Dopo la morte di Cosimo III il governo mutò atteggiamento: capì che senza la tolleranza Livorno non avrebbe potuto reggere la concorrenza di Genova. Pertanto vi furono accolti gli stranieri di tutte le nazioni e di tutti i culti. Si favorirono tutti coloro che vollero stabilirsi a Livorno. Giangastone, principe vizioso ma uomo di buon senso, non si limitò a ricevere in questa città le famiglie non cattoliche che vi si presentarono: permise loro di stabilirsi a volontà nelle altre città del suo dominio, e persino a Firenze. Si sa che il porto di Livorno è franco, che tutte le nazioni vi sono ammesse, che tutte vi godono degli stessi diritti e prerogative.