«Checché ne dicano gli analisti di mercato, il 2023 potrebbe rappresentare per lo shipping un anno meno fiacco di quanto non lascino intravedere le attuali previsioni economiche». Lo afferma a Port News Oliviero Baccelli, sviluppando un’analisi in controtendenza che prende le mosse dall’andamento dei mercati asiatici e dallo stato di salute della Cina, superpotenza che direttamente o indirettamente condiziona il 50% dei traffici marittimi.
«L’allentamento generale delle restrizioni sul Coronavirus e la riduzione dei requisiti obbligatori suggeriscono un graduale allontanamento dalla politica “zero-Covid» sostiene il docente universitario della Bocconi. «Quantunque sia altamente improbabile una riapertura totale, ci sarà, molto probabilmente, un’attuazione più pragmatica delle politiche legate alla pandemia nel 2023. E ciò dovrebbe favorire una ripresa delle importazioni, trainata da una rinnovata vitalità della domanda interna».
La prevedibile ripresa dell’economia cinese nel 2023 dovrebbe insomma alimentare i volumi degli scambi commerciali via mare, favorendo, sia pure in presenza di una contrazione delle esportazioni a livello mondiale, l’assorbimento della capacità di stiva che le grandi compagnie di navigazione si stanno affrettando ad iniettare lungo le principali rotte.
Infatti, come affermato recentemente da Alphaliner, almeno tre dei dieci principali carrier al mondo hanno recentemente annunciato nuovi ordini presso i cantieri asiatici, un dato sorprendente se si considera il momento di difficoltà che sta attraversando il trasporto marittimo.
«Siamo abituati ad analizzare le dinamiche di mercato dalla ridotta di una visione esclusivamente euro-centrica che, in quanto tale, è piuttosto limitata» spiega l’economista, sottolineando come i destini del mercato mondiale vengano oggi decisi più a Pechino che non a Bruxelles. «Recentemente è stata Bloomberg a riportare come tra i primi sette partner commerciali degli USA non figuri più il Regno Unito. La Gran Bretagna è stata scalzata dal Vietnam. Il che la dice lunga su come si stanno ridefinendo i rapporti commerciali tra le varie forze geopolitiche» aggiunge il docente universitario.
Vista dal Far East la situazione di mercato non appare così catastrofica, così come non appaiono nemmeno troppo velleitari i progetti da grandeur delle grandi compagnie di navigazione: «L’acquisizione di nuovo naviglio in un momento di difficoltà economica non lo qualificherei come un azzardo – dice Baccelli -, si tratta piuttosto di un rischio calcolato e poi va detto che con tutti gli utili da record incassati negli ultimi due anni, i liner potrebbero anche prendersi il lusso di andare in perdita per due lustri consecutivi senza nemmeno sentirne il contraccolpo».
Baccelli considera improbabile un ritorno al rischio di sovraccapacità dovuto alle nuove costruzioni di navi, e confida nella piena ripresa delle attività di demolizione: «Se nel 2021 e nel 2022 l’alta remunerazione del noleggio e dei noli hanno spinto gli armatori a proseguire le attività commerciali con navi ormai di vecchia generazione evitando la loro demolizione nonostante i ricavi interessanti che ne sarebbero conseguiti, nel 2023 la situazione potrebbe invertirsi» ammette, sottolineando che il contenimento dei consumi energetici e la decarbonizzazione agiranno da catalizzatori per lo scrapping delle unità più vecchie, tra i 15 e i vent’anni di età.
Il nearshoring è un altro tema che secondo Baccelli andrà ad acquisire una rinnovata centralità nel corso degli anni. «La crisi pandemica ha ridefinito le catene globali del valore, trasformando il trasporto da commodity a basso costo ad una fonte di rischio» sostiene l’economista, aggiungendo che «per favorire una maggiore autonomia europea rispetto a settori produttivi definiti strategici, come i semi-conduttori per le auto nuove e le batterie, l’Unione Europea ha cominciato a promuovere una visione strategica che favorisca il riavvicinamento della produzione nel Vecchio Continente».
Le filiere dei prodotti energetici e dell’automotive sono state le prime ad essere impattate ma l’onda lunga delle politiche volte a favorire una maggiore autonomia europea rispetto ai settori definiti strategici andrà a cambiare in maniera radicale tutto il settore dei trasporti internazionali.
«Questo non vuol dire che caleranno i traffici tra l’Europa/Mediterraneo e il Far East ma che si intensificheranno ad esempio quelli Ro/Ro- Ro/pax tra l’Italia e la Spagna e tra l’Italia e la Turchia, Paese con cui, peraltro, nel 2022, gli scambi commerciali movimentati via mare hanno raggiunto valori record».
Alcuni porti italiani potrebbero acquisire una chiara posizione di vantaggio competitivo, specie se riusciranno ad interpretare in modo corretto le nuove dinamiche: «Penso ad esempio a Trieste, per i rapporti con la Turchia, e a Livorno, per gli scambi commerciali con la Spagna. Le Autostrade del Mare avranno sicuramente un ruolo ancora più strategico nel medio lungo periodo» fa osservare l’esperto, aggiungendo però che l’Europa ha oggi alcuni grossi problemi da risolvere prima di poter essere in grado di promuovere questa nuova politica industriale: «I costi dell’energia, più alti che altrove, e la difficoltà a reperire nuova forza lavoro per i grandi impianti di produzione, rappresentano sicuramente un ostacolo a questo processo» ammette.
Infine, Baccelli si lascia andare ad una riflessione sui processi di integrazione verticale che stanno investendo in modo sempre più preponderante la portualità e la logistica nazionale. «Se da una parte tali processi rischiano di irrigidire il Sistema, sfavorendo l’ingresso di new entrant nel mercato, dall’altra non ritengo debbano essere mortificati» dichiara.
Baccelli ricorda come le compagnie di navigazione abbiano intrapreso da tempo un percorso di integrazione door to door, acquisendo società di brokeraggio doganale, specialisti di magazzino e distribuzione, strutturando una propria offerta di trasporto terrestre, investendo in piattaforme logistiche e ampliando anche la propria presenza nell’e-commerce.
«MSC, ad esempio, già presente in molti terminal italiani, ha contribuito in modo importante a sviluppare in Italia il mercato ferroviario e, con esso, lo shift modale. Ritengo che il gruppo di Aponte possa ambire ad essere per noi quel campione internazionale che in molti oggi invocano per l’Italia».