Interventi

Chi paga?

Il Canale di Suez presenta il conto

di Francesco Siccardi

Avvocato Studio Legale Siccardi Bregante &C

L’incaglio nel Canale di Suez della maxi box ship “Ever Given” ha prepotentemente fatto emergere il problema del gigantismo navale e delle sue ricadute: da un lato quello dell’adeguatezza delle strutture (vie navigabili, porti e relative attrezzature) necessarie al loro esercizio, dall’altro quello della necessità di una regolamentazione specifica del settore.

Più attuale e pressante è il problema delle responsabilità per il sinistro. A quanto risulta la nave si sarebbe incagliata (anche?) a causa di condizioni meteo avverse che avrebbero drasticamente ridotto visibilità e forse manovrabilità.

La causa dell’incaglio non ha però rilievo per la remunerazione che i soggetti intervenuti in soccorso (sostanzialmente l’Autorità del Canale) potranno reclamare. Ai sensi della convenzione di Londra del 1989, tanto la nave quanto il carico, e per essi i rispettivi assicuratori, sono tenuti a corrispondere un compenso che sarà giudizialmente determinato sulla base dei criteri stabiliti nella convenzione (art. 13). Fra questi spiccano, la natura e il grado del pericolo; l’abilità e gli sforzi dei salvatori; il successo ottenuto; i valori dei beni salvati.

La vicenda poi darà luogo ad una Avaria Comune nella quale nave e carico si spartiranno, oltre al compenso di salvataggio, tutti gli altri oneri sopportati per salvezza comune fino a quando la nave giungerà a destino.

Il vero tema del caso è però rappresentato dalle responsabilità che derivano dall’incaglio che prospettano due delicati quesiti. Prima di tutto, in che misura i salvatori avranno diritto ad un aumento (a parità degli altri criteri) per aver diminuito le potenziali (o reali) responsabilità dell’Armatore della nave causate dal blocco del Canale?

Il quesito apre il tema del c.d. “liability salvage”, ovvero della possibilità di estendere il concetto di salvataggio da preservazione delle proprietà coinvolte alle responsabilità che possono derivarne. Il dibattito sul tema ha portato (fin da prima della Convenzione) ad una regolamentazione parziale del problema, mediante la previsione di un “special compensation” dovuta dall’Armatore nel caso di operazione di salvataggio a una nave che di per sé o per la natura del carico abbia rappresentato una minaccia all’ambiente (art. 14). Si tratta dell’”environmental salvage” che è sostanzialmente una sottospecie del “liability salvage”, il quale, di per sé, non è regolato;

Secondo quesito: al di là del compenso (aumentato per effetto del fattore liability) chi pagherà i danni per i ritardi causati dal blocco? Si tratta di un conto miliardario considerato il numero di navi coinvolte e tutte le possibili manifestazioni dannose: dal ritardo (nolo – demurrage), alla perdita di contratti futuri per le navi e per il carico, dalla modifica dei valori di beni viaggianti (tipico il crudo), al danneggiamento del carico per particolari condizioni, alla mancata consegna tempestiva ecc.

In linea di principio, qui il tema della responsabilità si incrocia con quello della causa dell’incaglio: se si dimostrasse (per quanto forse sia difficile) che la nave ha subito le conseguenze di un evento imprevedibile e irresistibile, in teoria i danni rimarrebbero a carico di chi li ha subiti.

Ma pure in questo caso, si può prospettare invece un obbligo risarcitorio per effetto del principio del rischio di impresa?

L’utilizzo di navi che in particolari condizioni (acque ristrette) sono per le loro dimensioni più esposte a rischio, non deve comportare che debba farsi carico delle conseguenze dannose il soggetto che le impiega per massimizzare gli introiti (e profitti)? Questi ed altri aspetti collaterali prospettano dunque difficili quesiti per gli operatori e i loro consulenti.