Vi è qualcosa di encomiabile nella resilienza dimostrata dai big carrier lungo tutta questa crisi. Le compagnie attive nel traffico dei container hanno saputo ben galleggiare nel mare in tempesta grazie alla decisione di sottrarre quote crescenti di tonnellaggio a un mercato che fino a pochi mesi fa stava rischiando l’asfissia per overcapacity.
La temporanea messa a riposo di un numero più o meno elevato di navi (Sea-Intelligence sostiene che in 5 mesi sono stati lasciati a terra oltre 4 milioni di TEU) ha sicuramente giovato alle tasche di molti operatori, che hanno così evitato di far viaggiare unità cargo con coefficienti di riempimento molto al di sotto delle aspettative.
Sarà per questo che il dibattuto problema della sovracapacità si presenta adesso in tutta la sua gravità. Per la società di analisi BIMCO le tensioni economiche che attraversano il settore rilanciano gli interrogativi sull’operatività e sullo stesso orizzonte temporale del gigantismo navale.
A preoccupare gli esperti è lo scarto sempre più evidente tra le performance promesse dai giganti del mare e quelle concretamente realizzate: negli ultimi tre anni la capacità di stiva è infatti cresciuta del 75% a fronte di una crescita reale dei volumi di mercato di appena il 46%.
Nell’ultimo decennio i volumi di merce containerizzata sono cresciuti a ritmi sempre minori: dal 13,7% registrato nel 2010 all’1,8% del 2019. Nel periodo 2010-2020 i fondamentali di bilancio nello shipping sono insomma peggiorati sotto tutti i punti di vista, consegnando ai mercati un outlook incerto e in alcuni casi sfidante.
«Quest’anno calerà la domanda di trasporto container ma la flotta continuerà invece ad aumentare» osserva preoccupato Peter Sand, Chief Shipping Analyst di BIMCO. «Il 2020 sarà un anno estremamente doloroso per i carrier, che pure sono riusciti a far fronte alla difficoltà grazie ai blank sailing».
La sfida più grande è data dal numero nonché dalla continua evoluzione dimensionale delle ultra large containership oggi impiegate lungo le principali rotte: la consegna di oltre 30 ULCS all’anno a partire dalla seconda metà del decennio ha finito con il pesare sulle aspettative di crescita del settore, erodendo progressivamente i margini operativi di guadagno di molti operatori.
Eppure gli ordini di nuovo tonnellaggio continueranno ancora oggi a rispondere di più al criterio delle massime economie di scala raggiungibili che non a quello dell’andamento reale delle dinamiche di mercato e quindi della effettiva necessità di stiva.
Ne consegue che nel futuro prossimo non si assisterà ad alcuna inversione di tendenza: gli armatori continueranno a puntare sui pachidermi del mare per razionalizzare i costi e trasportare unità di carico a costi sempre minori. La scommessa di sviluppare nuovo tonnellaggio a prescindere dall’andamento del mercato appare piuttosto azzardata: il Covid ha mostrato tutta la fragilità dell’economia mondiale e d’altronde già una volta i mammut si sono estinti per scarsa adattabilità all’ambiente…