«I porti del Mediterraneo, a cominciare da quelli italiani, hanno la necessità di recuperare competitività nel settore logistico e trasportistico europeo. Ne va del loro futuro» ad affermarlo non è un quisque de populo ma uno che conosce molto bene la portualità nazionale e che oggi è al timone dell’Autorità Portuale di Salonicco, ovvero di quello che definisce essere «il primo esempio in Grecia di realtà manageriale nata con l’obiettivo di sviluppare e migliorare la competitività degli importatori ed esportatori europei».
Franco Nicola Cupolo, un passato da managing director al Cagliari International Container Terminal e con alle spalle tre anni da amministratore delegato di Contship spa (gruppo EUROGATE/ Eurokai), ha testato con mano quanta differenza corra tra un soggetto privato e uno di natura pubblicistica, quali sono oggi le Autorità di Sistema Portuale italiane.
Dal 2018 la Thessaloniki Port Authority S.A. è posseduta e controllata in maggioranza da una società con sede a Cipro, la South Europe Gateway Thessaloniki Limited (SEGT), partecipata per il 68% da Melbery Investments Ltd (appartenente in maggioranza all’oligarca russo Ivan Savidis) e per il 32% da Terminal Link, consorzio di proprietà di China Merchants Port Holdings (49%) e di CMA CGM (51%).
«Negli ultimi tre anni, da quando cioè la Port Authority è stata privatizzata, il porto ha fatto registrare un progressivo incremento nella movimentazione dei traffici containerizzati» sottolinea Cupolo.
Sulla base delle prime stime non ancora ufficiali, lo scalo portuale ha movimentato nel 2021 quattro milioni di tonnellate di merce varia e rinfuse, conseguendo inoltre un record nel traffico container, con circa 470.000 TEU movimentati: «Si tratta di un risultato che quest’anno speriamo di superare grazie al completamento dei nuovi lavori di infrastrutturazione. Le previsioni di crescita per il comparto dovrebbero attestarsi attorno ad un più 10%. Nel 2023 è attesa, poi, una movimentazione di 650.000 TEU».
La Port Authority ellenica sta implementando un vasto piano di investimenti il cui cuore è rappresentato dall’ampiamento del container terminal. «Una volta entrata in operatività la nuova facility, dovremmo riuscire a movimentare a regime sino a 2,5 milioni di TEU” fa osservare il manager italiano.
I mercati di riferimento del porto, quelli dell’Europa centro-orientale, sono a portata di mano, facilmente raggiungibili grazie anche al valore aggiunto dei servizi di logistica integrata che la Port Authority è riuscita a sviluppare in questi anni.
«Siamo in grado di raggiungere l’Austria in due giorni e mezzo» dice l’ad della THPA. 13 giorni in meno rispetto a quelli che ci vorrebbero se il caricatore decidesse di passare per i porti del Northern Range. Il vantaggio è tutto qui, nel transit time estremamente ridotto che la Port Authority riesce a garantire al cliente per l’inoltro della merce a destinazione.
Una battaglia vinta in termini di competitività, grazie, soprattutto – questa la riflessione di Cupolo- all’autonomia manageriale di cui gode l’Autorità Portuale. «Rispetto all’Italia, c’è una bella differenza» chiosa il manager italiano. «Guardiamo Rotterdam. Lo scalo portuale olandese movimenta più di dieci milioni di TEU. Si tratta per lo più di merce destinata al centro Europa, un mercato che potrebbe essere raggiunto in minor tempo se i caricatori decidessero di passare dai porti italiani e da quelli del Mediterraneo, ma…»
Perché ciò non accada è presto detto: «Rispetto agli scali portuali nord europei, il nostro Paese paga un gap incolmabile in termini di burocrazia e management. Le Autorità Portuali sono pubbliche, e non hanno una reale capacità di problem solving, non sono cioè in grado di orientare gli investimenti. Le politiche di marketing sono delegate ai singoli concessionari, che però non possono farsi carico di una visione di insieme».
Secondo Cupolo è questo il vero vulnus della portualità italiana: «La difficoltà delle Port Authority italiane nell’operare nel mercato reale sono evidenti. Chi voglia instradare le proprie merci da Genova piuttosto che da Livorno o da La Spezia, non può parlare soltanto con il singolo terminalista ma dovrebbe relazionarsi con un operatore che sia in grado di fornire risposte immediate in termini brevi, attivando peraltro immediatamente sinergie e investimenti» dice Cupolo.
Un Autorità Portuale privata è invece in grado di azionare gli investimenti laddove la merce lo chieda: «Come managing director di una società managerializzata, posso incontrare un potenziale cliente e proporre soluzioni, investimenti, tariffe e servizi. Nessuna Port Authority italiana può intercettare le esigenze del cliente con la stessa efficienza e celerità».
Oggi a Salonicco partono treni direttamente gestiti da THPA: «Sono diretti in Bulgaria, Serbia, Macedonia del Nord e sono interamente operati dalla Port Authority. Il cliente non deve quindi organizzarsi il servizio per proprio conto, chiamare il concessionario, mettersi d’accordo con il doganiere e instaurare un rapporto commerciale con l’operatore ferroviario. Quando il cliente parla con Salonicco, parla con una entità sola, che è in grado di garantire il servizio».
In Italia, invece, «la polifonia di un Sistema basato su più centri di potere non sempre in equilibrio tra di loro, produce una cacofonia in grado di danneggiare gli interessi del Paese».
E tutto rimarrà invariato se alle Port Authority italiane non verrà conferito l’obiettivo di fare utili e di sviluppare le catene logistiche. Di questo Cupolo è convinto: «La trasformazione delle Autorità Portuali in società private – partecipate, perché no, anche dallo Stato, come è nel caso di Salonicco – è una strada che l’Italia dovrebbe pensare di perseguire. E non sarebbe nemmeno necessario sdemanializzare le aree portuali. La THPA gestisce il bene pubblico sulla base di una concessione trentennale: deve garantire risultati economici e utili ma in cambio gode di spazi di manovra notevoli che ai porti italiani sono preclusi».