«La copiosa dialettica di contributi che affrontano i vari temi della portualità del nostro Paese continuano, a mio avviso, ad arrancare, in termini di elaborazione prospettica» lo afferma a Port News, il segretario nazionale della Filt-Cgil, Natale Colombo.
Prendendo le mosse dalla riflessione sviluppata su queste colonne dall’avvocato Matteo Paroli, attuale segretario generale dell’AdSP del Mar Tirreno Settentrionale, Colombo aggiunge come l’obiettivo principale da raggiungere resti quello di «rendere sempre più efficiente il sistema portuale attraverso una sua puntuale collocazione all’interno dei sistemi logistici integrati, favorendo una più puntuale applicazione di quanto già previsto dalla riforma Delrio al fine di valorizzare il fattore lavoro».
Per il sindacalista, la sfida da vincere è quella «di riuscire ad offrire manodopera sempre più specializzata e qualificata con specifici piani operativi di intervento allo scopo di formare, riqualificare, riconvertire o ricollocare i lavoratori portuali».
Anche per questo motivo, «bisogna andare a definire ovunque il Piano dell’Organico Porti», strumento che ha – secondo Colombo – un valore strategico nella ricognizione e nella pianificazione del lavoro e, conseguentemente, nell’analisi dei fabbisogno lavorativi.
Allo stesso modo, è venuto il tempo di sviluppare «una riflessione vera sul tassello nevralgico del lavoro nei porti, ovvero gli art.17».
Su questo tema, il segretario cigiellino è chiaro: «Troppo frequentemente – dice – sento operatori ed esperti di settore parlare di temi legati alla governance delle AdSP, ai flussi di traffico sia merci che passeggeri, alle concessioni delle aree demaniali, ma si parla poco o niente dei pool di manodopera, che garantiscono la fornitura di lavoro portuale temporaneo alle imprese, di cui agli artt. 16 e 18».
Eppure, è proprio su questo argomento che, secondo Colombo, andrebbe avanzato un ragionamento o, comunque, «una proposta capace di cogliere le nuove esigenze che avanzano attraverso un nuovo modello di lavoro, cosi come ha immaginato anche l’avvocato Paroli su queste pagine, ritenendo di doverlo adattare ai nuovi bisogni professionali e tecnologici».
Il sindacalista ribadisce che le imprese portuali sono e rimangono «l’unico soggetto chiamato a fornire elementi di flessibilità nell’organizzazione del lavoro portuale, con l’obiettivo di completare gli stessi processi di organizzazione del lavoro delle imprese terminalistiche e, soprattutto, di coprire la variabilità imposta da un ciclo produttivo mai statico».
Dentro questo schema, «necessario a garantire una buona e corretta competitività, resta centrale il tema della compressione dei costi e delle innovazioni del ciclo produttivo, del ricambio generazionale e della garanzia di tutele, diritti e sicurezza sul lavoro, coniugando il tutto con la professionalità e la specializzazione degli stessi lavoratori».
Insomma, per Colombo «tocca alla politica produrre uno scatto, sia per adeguare le competenze e le conoscenze alle sfide imposte dall’innovazione tecnologica, sia per salvaguardare i livelli di occupazione in un settore che è chiamato a garantire efficacia ed efficienza nel processo di consolidamento e crescita della portualità del nostro Paese».
Il modello di organizzazione del lavoro, incentrato sull’utilizzo degli art.17 quali soggetti unici cui ricorrere per prestazioni e servizi temporanei di interesse generale a sostegno delle imprese artt. 16 e 18 e, quindi, alla competitività del sistema portuale nazionale, «va garantito e irrobustito con una forza lavoro flessibile e soprattutto polivalente capace di garantire le esigenze del mercato, la tutela della sicurezza e la garanzia della dignità del lavoro».