Interviste

Colloquio con Daniele Rossi

Il primo nemico dei porti? La burocrazia

di Marco Casale

«Le Autorità Portuali sono enti pubblici e tali devono restare». Ma i tempi delle mediazioni devono piegarsi definitivamente a quelli delle decisioni: «occorrono enti snelli ed efficienti, in grado di muoversi in modo dinamico in un contesto che oggi appare troppo appesantito a causa delle burocrazie e dell’eccesso di normazione che caratterizza la nostra materia».

In sintesi è questo il pensiero di Daniele Rossi.

Chiunque conosca il presidente dell’Autorità di Sistema del Mar Adriatico Centro-Settentrionale sa bene quanto poco si addicano alla sua persona le riflessioni filosofiche sulla natura giuridica degli enti portuali.

Indirizzare l’analisi critica della ragione all’azione e alla pratica è per un uomo come lui una priorità. La stella polare da seguire è e rimane sempre una: l’interesse generale, che va salvaguardato sopra ogni cosa.

«Quando mi siedo a un tavolo per discutere con gli operatori economici, voglio avere l’autorevolezza e l’autorità di un ente pubblico» afferma il numero uno di Assoporti.

Il concetto della «dignità del pubblico» torna spesso durante la conversazione con il cronista:«Chi fa impresa faccia impresa, chi fa il pubblico continui a operare nel pubblico».

Salomonico, ma non banale o retorico, Rossi è convinto che l’autorevolezza di un soggetto come l’AdSP derivi dalla sua terzietà, ovvero dal fatto di non avere interessi divergenti da quelli dello Stato, di cui è una diretta emanazione.

Questo è il motivo che sta alla base della perplessità con cui  Rossi accoglie la proposta lanciata sulle colonne di Port News dal presidente Zeno D’Agostino: «Permettere alle Autorità Portuali di detenere quote di maggioranza dentro le società che fanno logistica? Ritengo si tratti di un tema complesso che merita di essere approfondito, ma a primo lume di naso l’idea mi lascia abbastanza perplesso».

Rossi dice di essere favorevole al modello delle società in house, che consentono alla Adsp di «muoversi con un maggior dinamismo sul mercato», ma si tratta di enti che devono comunque rimanere assoggettati alle regole pubbliche. «La loro trasformazione in enti economici a tutti gli effetti non mi convince».

La ragione è sempre la stessa: «Chi opera in un contesto prettamente economico ha come unico obiettivo quello di far quadrare i bilanci, non certo di pensare all’interesse generale. Si creerebbero delle commistioni pericolose».

Per il presidente del porto di Ravenna «dobbiamo uscire dall’equivoco: o siamo un’autorità o siamo un operatore commerciale. Fare tutti due mestieri con obiettività e serenità diventa difficile».

Il vero tema da affrontare, allora, non è se consentire o meno alle AdSP di fare impresa, ma che cosa fare perché queste ultime vengano messe in condizione di fare bene il loro mestiere: «Le Autorità Portuali devono poter fare investimenti, devono poter regolare il mercato e realizzare in tempi celeri le opere di ammodernamento infrastrutturale di un porto».

Codice degli appalti, normativa ambientale e legislazione giuslavoristica: messe in fila, sono queste le priorità su cui intervenire: «È ciò di cui dobbiamo discutere. La questione non è se posso fare business ma se posso spendere i soldi che ho a disposizione per mandare avanti un porto».

Rossi sposa appieno l’intervento di Pietro Spirito pubblicato nei giorni scorsi su Port News: «Il collega ha assolutamente ragione: sui dragaggi i tempi sono troppo lunghi. A Ravenna sono più di dieci anni che non riusciamo a portare avanti un intervento di escavo. La speranza è di poter cominciare i lavori a fine anno, ma in linea generale i porti si trovano spesso bloccati tra casse di colmata piene, interventi della magistratura, e centinaia di migliaia di euro spesi ogni due anni per fare i rilievi batimetrici».

Il rischio da evitare è quello di una impasse che blocchi il lavoro delle Adsp: «Non ha senso che per sviluppare il progetto di un’opera possa volerci più di un anno».

Lo stesso discorso vale per i dragaggi: «Come faccio ad avere un porto a prova di gigantismo navale se rischio di subire una incriminazione penale per ogni nonnulla?».

Rossi ha ben chiare quali sono le reali priorità per la portualità italiana: «Se riuscissimo a realizzare in tempi certi infrastrutture efficienti e moderne, se ci preoccupassimo di creare un sistema di connessione digitale e di supportare con regole chiare gli operatori che vogliono investire nei porti, credo che avremmo fatto più del nostro dovere».

Ma per raggiungere questi obiettivi occorre prima di tutto «uscire dall’incubo amministrativo giudiziario in cui ci troviamo oggi». E poi bisognerebbe poter operare senza la spada di Damocle «del danno erariale o ambientale, senza le continue incomprensioni con l’Anac».

Questo non vuol dire non avere regole: «Ma occorre semplificare. Il problema è che ci sono troppi controllori, troppe competenze sovrapposte, che andrebbero chiarite. Questo tema va affrontato e adattato ai tempi delle decisioni».

Altrimenti – è questa la morale della favola – le Autorità Portuali rischiano di fare la fine di quegli elefanti cui una piuma finisca per spezzare la schiena. L’animale è sovraccaricato dal peso dei burocratismi, ma si finisce con il dare la colpa soltanto alla piuma che ha portato all’ultima frazione di peso.

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