«Checché se ne dica, per quanto si parli, sempre più spesso, di un progressivo ritorno ai livelli, e agli stili di vita, del periodo pre-pandemico, la Supply Chain globale non potrà mai più essere la stessa. Niente sarà più come prima».
Gian Enzo Duci prende a riferimento l’ultimo approfondimento pubblicato dal Wall Street Journal nei giorni scorsi, per esprimere il proprio punto di vista.
Quello che sta accadendo nel trasporto marittimo di container è sotto gli occhi di tutti. I noli spot sono andati progressivamente riducendosi a partire da Gennaio scorso, tanto da spingere certi osservatori, come Alan Murphy, di Sea Intelligence, a predire un ritorno alla normalità entro un massimo di 61 settimane.
«Era prevedibile che ciò che accadesse – spiega a Port News il vice presidente di Conftrasporto e manager di Esa Group – ma non credo potremo tornare indietro ai livelli del 2019 e a una situazione di mercato caratterizzata da un eccesso di offerta, che vedeva le compagnie di navigazione operare al di sotto del breakeven medio».
Quelli erano altri tempi: «I vettori avevano un solo obiettivo: accaparrarsi quote crescenti di mercato a prescindere dal risultato economico generato. È la classica strategia della “presa di posizione” che ha dominato il settore del trasporto marittimo per anni, sicuramente per un periodo di tempo molto più lungo di quanto non sia accaduto in altri settori economici».
Il Covid-19 e le conseguenti misure di contingentamento hanno messo in crisi il sistema trasportistico e, con esso, «la capacità organizzativa dei big carrier, amplificata da almeno dieci anni di politica del “big is better”, fondata sulla corsa all’accrescimento dimensionale di navi, compagnie ed alleanze» aggiunge Duci, sottolineando come il lockdown abbia di fatto portato ad un punto di svolta.
«Quando il mondo si è fermato, i flussi di traffico marittimo sono diminuiti e, per ridurre i costi, una grandissima quantità di stiva (fino al 15% del totale, tra febbraio e giugno 2020) è stata sottratta dal mercato». Poi è accaduto qualcosa di non previsto. «La produzione industriale, specie in Asia e, particolarmente, in Cina, ha ripreso a crescere a partire dalla seconda metà del 2020, mentre Europa e Nord America erano ancora in piena emergenza». Per il manager portuale si è creata, nella sostanza, una sorta di asimmetria produttiva tra aree del mondo: «I container vuoti sono di fatto rimasti “bloccati” in un’Europa ancora paralizzata dalla crisi pandemica, mentre sarebbero serviti in Asia, dove la domanda aveva cominciato a correre per effetto della ripresa della produzione industriale. Questo ha messo in luce l’incapacità del sistema di rimettersi in moto in maniera naturale».
Il ragionamento del n.2 di Conftrasporto è chiaro: il trasporto containerizzato, che fino a poco tempo prima era una vera e propria commodity a basso costo, efficiente ed elastica, in grado cioè di adeguarsi celermente alle richieste di mercato, è diventato improvvisamente oneroso e inefficiente, tanto da non riuscire più a soddisfare in termini di offerta il fabbisogno della domanda, malgrado progressivamente tutto il naviglio possibile fosse tornato in servizio.
Il sistema è insomma entrato in crisi, peraltro in un momento in cui la domanda di beni di consumo stava aumentando in maniera più che proporzionale rispetto al riavvio dell’economia internazionale: «La mobilità limitata riduceva la propensione dei consumatori a spendere in servizi. Quindi, comprare beni (spesso dal divano di casa) era diventato il modo preferito per spendere soldi che altrimenti non sarebbero stati utilizzati». È stato consequenziale che il costo per il trasporto di questi beni sia andato alle stelle, minando una delle determinanti fondamentali della globalizzazione (“produco dove costa meno, perché tanto poi spostare i prodotti posso farlo rapidamente ed a basso costo”).
Duci mostra come il mercato internazionale dei beni sia stato impattato dal Covid soltanto per i primi due trimestri del 2020. «Dal terzo trimestre in poi, abbiamo registrato continui record di crescita nel trading dei beni di consumo. Il mercato di servizi, invece, non ha raggiunto ancora oggi i livelli precovid. La catena logistica non ha saputo rispondere in maniera efficace alle nuove dinamiche di mercato: e dire che gli armatori avevano cercato di correre ai ripari, tanto da mettere in acqua, nel 2021, tutta lo flotta disponibile, ma l’attesa nei porti, nella sostanza, sottraeva la stiva addizionale che i carrier rimettevano in acqua».
L’inefficienza operativa, causata dalle defezioni registrate tra i lavori per effetto della diffusione dei contagi, quella della catena trasportistica, e l’incapacità da parte dei vettori di stabilire tempistiche certe nella consegna delle merci, ha fatto sì che si venisse a registrare una crescita esponenziale dei noli: «Chi aveva bisogno di spedire era disposto a pagare qualsiasi cifra pur di garantirsi la consegna della propria merce».
Oggi, parte delle problematiche generate dai colli di bottiglia e dall’inefficienza operativa dei porti si sta progressivamente risolvendo. Il mondo sta tornando a muoversi in maniera normale, anche se qualche preoccupazione permane, specie in Cina, a causa degli episodi di recrudescenza del virus.
Resta fermo che «le compagnie di navigazione sono tornate ad ordinare in modo massiccio nuove navi, molte delle quali saranno consegnate e messe in acqua nel 2023, da qui la speranza per una riduzione dei noli a partire dal prossimo anno» sottolinea il manager di Esa Group.
L’aumento dell’offerta potrebbe quindi contribuire ad abbassare i noli «ma non dobbiamo dimenticare che a gennaio del ‘23 entrerà in vigore la nuova normativa sulla riduzione delle emissioni di Co2, per effetto della quale le portacontainer saranno obbligate a navigare ad una velocità notevolmente ridotta. Al nuovo tonnellaggio immesso nel mercato farà insomma da contraltare una riduzione dell’offerta causata dal rallentamento della velocità di navigazione».
Tutto ciò porta Duci a mantenere un atteggiamento prudenziale: «Le nuove dinamiche contingenti condurranno sicuramente ad un riequilibrio di mercato, ma non al livello dei noli conosciuto nel periodo prepandemico. Temo sarebbe azzardato pensarlo».
Così come sarebbe folle pensare che la Guerra in Ucraina non impatterà in alcun modo sul nostro settore: «Non si tratta soltanto di mettere in conto le ricadute negative che le sanzioni e il conflitto stanno avendo sul traffico container (in minima parte) e su quella rinfusiero (in misura maggiore). Va anche fatto un ragionamento sul concetto stesso della libera circolazione dei beni, delle persone e dei mezzi di trasporto, principio riconosciuto a livello internazionale che oggi non è più così scontato». Il limitato accesso al Mar Nero, per il duplice effetto delle sanzioni e delle mancate garanzie sulla sicurezza di cose e persone, potrebbe insomma aprire nuovi scenari.
E nuovi scenari potrebbero spalancarsi anche per il sistema trasportistico italiano a causa del progressivo affermarsi della cosiddetta regionalizzazione dei mercati. Il vice presidente di Conftrasporto ne è convinto. «La disruption delle catena logistica ha accelerato quei processi che già stavano cominciando ad affermarsi nel pre-Covid. Le attività di reshoring e nearshoring che si stanno materializzando porteranno sicuramente a una diversa configurazione dei traffici a livello internazionale».
Duci fa osservare come una parte rilevante delle attività produttive si stia progressivamente spostando nella zona del Maghreb e in alcune aree del Medi Oriente, Turchia in particolare. Cosa, questa, che potrebbe avere effetti significativi per il sistema portuale italiano: «A differenza di una nave che parte da Shanghai e che vede Livorno o Genova in concorrenza con gli scali del Nord Europa, per la merce che parte da Izmir o Tunisi sembra logico pensare che non vi siano alternative all’essere scaricata nei nostri porti per raggiungere il Centro Europa».
E’ un ragionamento, questo, che porta il manager di Esa Group a sviluppare una riflessione conclusiva sulla politica dei trasporti a livello nazionale: «Per intercettare questi traffici serve una regia centrale in termini di governance e indirizzo» afferma. «Sono contento di sapere che il Ministro Giovannini abbia individuato in Ferrovie dello Stato il campione nazionale del Paese, ben venga avercene uno, va però detto che il commercio internazionale passa prevalentemente dai nostri porti ed è forse tra questi che dovremmo cercare una soluzione».
Duci ricorda la sua prima Assemblea nazionale da presidente di Federagenti nel 2016: «Il tema centrale di quell’Assemblea era: “Cercasi campioni”. All’epoca mi sembrava già evidente che di fronte a operazioni quali la Belt and Road Initiative cinese fosse necessario avere un qualche campione nazionale che potesse, con un peso specifico significativo, giocare ai tavoli internazionali della logistica. Non avendo una Cma Cgm, una Hapag lloyd, o una DHL italiana, dissi che attraverso la riforma Delrio, il Ministero, con il tavolo di coordinamento delle AdSP sarebbe potuto diventare quel big player. Sono ancora convinto che sia questa la strada da perseguire».
La cosa più importante aprire gli occhi e capire che cosa sta accadendo a livello internazionale: «Da questo punto di vista, non si può non notare come il traffico RO/RO sia, nel breve futuro, la modalità di trasporto con maggiori possibilità di crescita per il nostro Paese. La regionalizzazione dei mercati vedrà infatti buona parte delle produzioni industriali di nostro interesse spostarsi sui Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo, facilmente collegabili ai nostri porti in modalità Rotabile».
Purtroppo, «non mi sembra però che il Governo abbia al centro della propria agenda lo sviluppo di terminal ro/ro nel Paese, mentre sta lasciando che i porti italiani continuino ad alimentare le proprie ambizioni di grandezza con piani di crescita più o meno giustificati nell’ambito del traffico containeirizzato».
Da questo punto di vista, Livorno rappresenta per Duci una eccezione: «Forte della propria leadership, il porto ha sempre avuto per il settore Ro/Ro un’attenzione maggiore di ogni altro scalo portuale italiano, come dimostra peraltro il progetto della Piattaforma Europa, che prevede, in una seconda fase, la costruzione di una nuova facility dedicata ai rotabili. I nuovi processi di regionalizzazione rappresentano per lo scalo un’opportunità di sviluppo clamorosa. Livorno, d’altronde, continua ad essere l’unico porto italiano collegato con la ferrovia sulle due direttrici dei valichi alpini e, anche qualora non la si volesse considerare una alternativa al dualismo Genova-Trieste per l’internazionalizzazione della logistica italiana, ne potrebbe sicuramente rappresentarne un booster o un complemento».