In questi ultimi anni l’espressione ziligengsheng sembra essere tornata di moda in Cina. Il principio maoista dell’autosufficienza è entrato con forza nelle strategie di fondo che verranno delineate nel 14° Piano quinquennale (2021-2025), tanto da spingere Pechino a voler istituire una nuova modalità di sviluppo basato sull’attuazione reciprocamente vantaggiosa della doppia circolazione interna e internazionale.
Secondo diversi osservatori la “guerra prolungata” con gli Stati Uniti d’America, le tensioni interne con Hong Kong e le nuove sfide imposte dalla crisi pandemica starebbero spingendo il Politburo a definire la sicurezza alimentare ed energetica quali obiettivi prioritari da raggiungere nel prossimo futuro.
Che cosa c’entra questo con lo shipping? Sappiamo che Pechino è ancora largamente dipendente da altri Paesi per l’approvigionamento di materie prime come iron ore, cereali e petrolio. Assicurarsene la fornitura diventa però fondamentale e le compagnie di navigazione cinesi possono giocare in questo un ruolo strategico: «I carrier hanno una grossa responsabilità, che è quella di contribuire alla fornitura di queste risorse» ha dichiarato giorni fa lo chairman di Cosco Shipping Bulk, Gu Jinsong, in occasione di un recente forum ripreso da Lloyd’s List.
Il messaggio di fondo è chiaro: la merce importata in Cina dovrebbe essere trasportata da navi cinesi. Si tratta di una idea non nuova: già nel 2003, l’allora ministro dei trasporti Yeo Cheow Tong dichiarò di voler assicurare entro il 2015 che l’80% delle importazioni di petrolio fosse trasportato da navi tanker di proprietà di armatori cinesi.
È un traguardo che non è mai stato raggiunto: ad oggi solo (si fa per dire) il 40% delle commodity importate in Cina viene trasportato da navi nazionali. Cio non ostante, gli obiettivi del 2003 sembrano calzare a pennello con la nuova normalità post-covid cinese. Il circolo virtuoso che Pechino vorrebbe mettere in piedi è il seguente: i caricatori e trader nazionali dovrebbero noleggiare più navi dagli armatori cinesi. Che a loro volta dovrebbero ordinare più navi dagli shipbuilder nazionali.
Ed è ciò che sta già accadendo oggi se è vero che molte rinfusiere di tipo valemax usate per l’import di minerali di ferro dal Brasile appartengono a shipowner o società di leasing cinesi. Anche l’accordo di realizzazione di 8 nuove rinfusiere e di 30 VLCC siglato da China Minsheng Trust, Cofco e Chengxi Shipyard rientra nella strategia di potenziamento del mercato domestico.
Alcuni analisti ritengono per altro che nella stessa direzione si stia muovendo Cosco. Pochi giorni fa la sussidiaria ORIENT Overseas Container Line ha annunciato di voler programmare una nuova espansione della propria flotta, tramite l’acquisizione di sette ulteriori containership da 23.000 TEU.
Per gli esperti, il nuovo newbuilding plan consentirà al colosso statale, che già oggi controlla la terza flotta più grande al mondo, di ridurre il gap con il primo vettore mondiale, Maersk e di supportare la cantieristica cinese.
Sullo sfondo c’è la necessità di garantire una migliore stabilità della catena logistica, che recentemente, specie sul trade transpacifico, è stata messa sotto pressione dall’impennata delle rate di nolo causata dalla politica di contenimento della capacità messa in atto dai liner mondiali per far fronte al calo della domanda innescato dalla crisi pandemica.
Cosco si propone quale esecutore della volontà del Governo di mettere un freno ai questi incrementi e di ridare un po’ di fiato ai caricatori e spedizionieri nazionali.
Secondo Clarksons’ nei primi sette mesi dell’anno gli shipbuilder cinesi hanno vinto commesse per 164 navi, di cui 100 ordinate da domestic owner.
Si tratta di un dato ragguardevole se rapportato al recente passato. E potrebbe rappresentare un nuovo punto di svolta per l’autosufficienza cinese.