«Avevamo appena trovato a livello mondiale una linea di riequilibrio grazie al raggiungimento di una prima tregua commerciale tra USA e CINA, questa nuova emergenza ci fa fare purtroppo cinque passi indietro».
Il Coronavirus continua ad allarmare esperti e addetti ai lavori. Mentre cresce il bilancio delle vittime, e mentre l’apprensione per la minaccia anche economica rappresentata dal 2019-nCoV sta affondando gli indici dei mercati azionari, dal suo ufficio di Genova il direttore di Spediporto, Gianpaolo Botta, non esita a usare toni giustamente preoccupati per descrivere «quella che secondo noi è la peggiore emergenza che il mondo sta affrontando dai tempi della Sars».
Considerato il ruolo che la Cina svolge nella catena di approvvigionamento globale, il minimo rallentamento della sua attività produttiva non può che avere ripercussioni negative in tutti i mercati. Per altro, il problema del virus è emerso proprio durante il periodo delle festività cinesi.
Il Lunar New Year, una delle ricorrenze più sentite dal popolo e un’occasione importante per stimolare i consumi domestici, si sarebbe dovuto concludere il 3 febbraio. Pechino ha però deciso di prolungarne la durata sino al 13 febbraio, onde contenere il contagio dell’epidemia.
Il prolungamento del Capodanno cinese ha però ampliato il periodo di bassa stagione, deprimendo la domanda di trasporto delle merce. Botta, che è a stretto contatto con diversi colleghi spedizionieri che lavorano a Pechino, parla di una Paese sull’orlo del collasso: «I terminal portuali sono praticamente saturi di container dato che le navi hanno continuato a scaricare la merce anche in questi giorni. Nessun porto è però riuscito a smaltire tutto il carico giacente a causa della limitata, se non azzerata viabilità autostradale».
Durante le festività, infatti, le autostrade rimangono chiuse. L’unica arteria stradale funzionante rimane quella locale: «Per altro, non ci sono camion a sufficienza per smaltire celermente tutti i container perché mancano gli autisti. Non siamo in grado di dire in quanti rientreranno il 14 febbraio, dopo le vacanze».
L’impero del Dragone è quindi alle prese con un problema di logistica terrestre: «I container rimangono fermi nei porti. Non vengono inoltrati alle fabbriche e quindi le merci non vengono inserite nella filiera produttiva. Chiaramente, non possono che esserci ripercussioni negative sull’export, dato che la merce lavorata non esce dai confini nazionali».
E poi c’è un problema di costi: «è evidente che si allungheranno i periodi di giacenza media dei container nei porti. I costi in eccesso dovranno essere poi assorbiti da chi ha gestito il trasporto».
Nel medio, lungo periodo, a soffrire saranno tutti i mercati nazionali: «Basti vedere che cosa è accaduto con il prezzo del greggio, crollato a 54,5 dollari al barile a causa del contrarsi della domanda cinese. Lo stop brusco — e non si sa per quanto tempo — alle attività legate alla paura del contagio impatteranno sulle catene di approvigionamento di tutti i Paesi con cui la Cina ha delle relazioni commerciali».
Fino a quando, e in che misura, non si sa: «Difficile prevederlo ora. Quello che possiamo fare è aspettare il 14 febbraio, ovvero la fine delle festività, per valutare quali iniziative vorrà intraprendere Governo cinese per tornare ai livelli di attività produttiva ante-crisi».