Scorrendo il Rapporto Annuale 2018 della Fondazione Italia-Cina scopriamo che il nostro export in quel mercato ha superato per la prima volta i 20 miliardi di dollari (+22%), realizzando così la miglior crescita di un Paese UE in Cina. Poiché il nostro import è pari a 29,28 miliardi di dollari (+10,24%, record dal 2011), l’interscambio tra i due Paesi è dunque pari a 49,79 miliardi (+14,79%, record dal 2011).
In questo contesto, la strategia della “Nuova Via della Seta” rappresenta una opportunità storica per l’Europa e per i porti italiani. L’iniziativa cinese interessa 68 Paesi coinvolti da specifici accordi di cooperazione su oltre 270 punti rilevati al servizio dell’iniziativa e connette tre continenti: Asia, Africa, Europa e Cina. Al tempo stesso la connettività fra tutti gli attori coinvolti riguarda la modalità sia marittima sia ferroviaria. Un tale complesso infrastrutturale e commerciale stimola processi geo-economici di assoluta rilevanza per il continente europeo in generale e, più specificatamente, per l’Italia.
Un primo processo – nel breve/medio periodo – riguarda la declinazione più classica della “Nuova Via della Seta”. Attivare servizi diretti Far East/Europa, tipicamente container (sebbene il mercato vada allargandosi anche verso altre tipologie di merci, quali ad esempio i project cargo). In questo caso, per quanto riguarda l’Italia, tali servizi possono trovare soluzioni complementari per servire mercati differenti. Gli scali dell’Alto Tirreno (Genova-Savona, La Spezia, Livorno) possono servire i mercati centro-occidentali dell’Europa e quelli dell’Alto Adriatico (Trieste-Venezia-Ravenna) i mercati centro-orientali dell’Europa, mentre i porti centro-meridionali, oltre a servire i mercati nazionali “domestici”, potranno – se adeguatamente connessi al Corridoio scandinavo-mediterraneo – aumentare la propria penetrazione nel mercato europeo centrale. Il Porto di Gioia Tauro potrebbe inoltre costituire un valido riferimento portuale per il transhipment nel Mediterraneo centro-occidentale; transhimpment che, per quel concerne tutti i porti adriatici italiani da Brindisi a Trieste, verrebbe garantito invece dall’attivazione di linee oceaniche fra il Far East e il Pireo.
Un secondo processo – nel medio periodo – riguarda invece la declinazione terrestre della “Nuova Via della Seta”, la cui implementazione, incentrata per ora principalmente sull’interporto di Duisburg, potrebbe aumentare l’attività delle Autostrade del Mare, oltre a sfruttare le potenzialità delle reti infrastrutturali terrestri. La grandiosa iniziativa che intende connettere la Cina con l’Europa occidentale lungo una linea ferroviaria di 2.500 chilometri attraverso il Kazakhstan (collegando inoltre Cina, Europa, Turchia e Medio Oriente) ha preso il proprio avvio già 2 anni fa. Ai servizi ferroviari attivati fra ChengDu e Duisburg se ne sono, da allora, aggiunti altri. Le potenzialità della rete infrastrutturale terrestre europea verrebbero sfruttate in questo scenario permettendo l’inoltro delle merci di provenienza cinese verso tutte le destinazioni continentali. L’inverso vale per le produzioni europee, distribuite in tutti i paesi dell’Unione, che attraverso il reticolo delle TEN-T possono essere convogliate negli hub terrestri per l’inoltro verso l’Asia. Parallelamente, la politica europea delle Autostrade del Mare sta sempre più aumentando la rilevanza dei traffici Ro/Ro intra-mediterranei. Se a questo si aggiunge l’augurabile stabilizzazione delle fragili istituzioni dei Paesi della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo, si può facilmente immaginare la crescita rilevante nel giro di pochi anni del ruolo degli hub italiani dedicati al settore Ro/Ro. In particolare, l’attivazione di servizi interamente intermodali treno-nave potrebbe garantire connessioni fra gli interporti europei, i porti della sponda settentrionale del Mediterraneo e i mercati di destinazione.
Il terzo e ultimo processo – nel medio e lungo periodo – è invece connesso alla declinazione africana della “Nuova Via della Seta”, che attribuisce a quel Continente un ruolo di intermediazione dei flussi da e per la Cina così come da e per l’Europa. La Cina vi sta investendo ingenti risorse finanziarie, con particolare attenzione ai Paesi della fascia sub-sahariana. Nell’arco di una decade potremmo pertanto assistere a una sensibile crescita economica di tali Paesi e quindi alla creazione di nuovi mercati di consumo. Il tutto potrebbe tradursi in un aumento sensibile della richiesta di beni ad alto valore aggiunto – tipicamente di produzione europea – e pertanto in un aumento dei traffici intra-mediterranei. Il sistema portuale italiano non può e non vuole sottrarsi a tali dinamiche. I tassi di crescita dell’economia africana e la rilevanza sempre più evidente della “Nuova Via della Seta” faranno del Mediterraneo l’anello centrale di quella catena logistica che legherà l’Italia al commercio mondiale con ovvi riflessi sulla produzione manifatturiera nazionale. Rilevanza tutta da dimostrare ma che va pesata attraverso quel filtro sapientemente distillato da Luigi Einaudi nella sua massima “conoscere per deliberare” e che consente di individuare quali sono le infrastrutture – nazionali ed europee – essenziali al Paese e, di conseguenza, quanto si debba investire sulle stesse.
Fortunatamente, oggi la tecnologia ci mette a disposizione una immensa quantità di informazioni. La strada su cui puntare è l’analisi dei Big Data: per definire al meglio un Piano industriale 4.0 che guardi ad un orizzonte di sviluppo di almeno 50 anni, per analizzare le dinamiche della catena logistica, per individuare le storture operative. Tutto questo rischia però di non essere sufficiente. Per cogliere nuove opportunità l’Italia dovrà affrontare e vincere almeno due partite, entrambe connesse alla politica europea di trasporto.
La prima riguarda la revisione, da elaborare nel 2023, dell’architettura delle Reti Trans Europee di Trasporto TEN-T. Nella sua versione attuale individua 9 Corridoi di trasporto (composti da archi ferroviari e stradali e nodi anche portuali), quattro dei quali riguardano direttamente l’Italia. Nel prossimo quinquennio il nostro Paese dovrà pertanto essere in grado di redigere un’agenda credibile degli investimenti infrastrutturali da realizzare, che intende operare facendo emergere che, una portualità italiana competitiva è necessaria non solo a soddisfare gli interessi nazionali ma anche quelli europei.
La seconda partita invece si gioca sulla revisione del Programma comunitario Connecting Europe Facility che assegnerà, al 2020, fondi per 31,2 miliardi di euro alle infrastrutture ricomprese nelle reti TEN-T. Se è vero, come è vero, che esiste una rinnovata centralità del Mediterraneo nella relazione commerciale Europa-Mondo, s’impone allora a livello europeo un riequilibrio logistico continentale. Ne conseguono investimenti portuali in Italia e nel sud dell’Europa e non, come invece accaduto sinora, una miope implementazione delle catene portuali-logistiche nord europee.
Almeno fino ad oggi, il cluster marittimo portuale nazionale ha dimostrato una scarsa capacità di influenzare le decisioni prese a Bruxelles. È arrivato il momento per invertire tale tendenza puntando sulla piena intermodalità, sullo sviluppo delle Autostrade del Mare (da riconoscere anche per i collegamenti con i Paesi extra-UE), sullo sviluppo portuale dell’Europa meridionale e sulla definizione di cluster portuali operativi che rifuggendo dai campanilismi siano in grado di competere a livello globale.