Nel mondo marittimo mancano all’appello tra i 50 e i 60 mila ufficiali, il 9% del pool globale. Il dato emerge da uno studio confezionato da Drewry, secondo il quale il gap tra domanda e offerta è aumentato di ben 4 punti percentuali rispetto all’anno scorso. Si tratta del livello più alto da diciassette anni a questa parte, da quando cioé la consultancy firm ha iniziato ad analizzare il mercato del lavoro marittimo.
Drewry prevede inoltre che livelli di disavanzo simili siano pervisti per tutto il prossimo quinquennio, a causa della limitata disponibilità di marittimi.
“Sebbene questi livelli di deficit siano basati su un calcolo tutto teorico che tiene conto del numero complessivo di navi in acqua, non si può tacere come in questi anni il mercato del lavoro sia diventato alquanto selettivo, con importanti implicazioni nelle procedure di reclutamento” afferma la società di analisi, sottolineando come l’onda lunga della crisi pandemica si sia fatta sentire nel settore, con effetti negativi sull’attrattività complessiva del lavoro di mare.
Tra il 2020 e il 2022 si sono infatti moltiplicate le testimonianze di marittimi che durante il regime di restrizioni dovuto all’esplodere dell’emergenza sanitaria si sono visti costretti a rimanere a bordo delle proprie navi per periodi prolungati, ben superiori a quelli previsti dal proprio contratto. I numerosi episodi di disagio psichico e fisico segnalati durante il periodo pandemico hanno sicuramente sensibilizzato l’opinione pubblica rispetto ad un tema diventato ormai centrale per il futuro dello shipping: il welfare.
Il diritto alla comunicazione, a lavorare in una struttura confortevole e a vivere una vita sana da un punto di vista fisico e alimentare, hanno acquisito per i marittimi maggiore importanza dei livelli salariali.
Anche la formazione riveste un ruolo strategico: sempre più marittimi vorrebbero poter acquisire nuove competenze sull’utilizzo delle nuove tecnologie legate alla decarbonizzazione e alla digitalizzazione. E’ quanto è emerso da un sondaggio che ha coinvolto 500 marittimi impiegati in navi dry bulk, tanker e portacontainer.
L’81% dei soggetti intervistati nello studio realizzato da DNV in collaborazione con la Singapore Maritime Foundation ha dichiarato di voler effettivamente acquisire un know how specialistico sull’innovazione tecnologica e il 75% del totale ha richiesto corsi formativi sull’utilizzo di combustibili alternativi a quello tradizionale: come l’LNG o fuel sintetici.
Se da una parte cresce insomma tra i marittimi l’esigenza di un fabbisogno formativo al passo con le sfide della sostenibilità ambientale e dell’IOT, dall’altra viene affermandosi la necessità di un rafforzamento delle politiche di welfare a sostegno di una dignitosa condizione di lavoro e di vita a bordo delle navi.
La sensazione è che senza un’adeguata svolta in tal senso, il gap tra domanda e offerta rischi di aumentare ulteriormente nei prossimi anni. D’altra parte, Drewry sottolinea come ad oggi permangano altre criticità: la guerra in Ucraina, ad esempio, potrebbe limitare ulteriormente l’approvigionamento di nuova forza lavoro, soprattutto di quella russa e ucraina. Al contempo, la crescita continua della flotta navale potrebbe chiaramente contribuire ad allargare ulteriormente la forbice.
“I datori di lavoro stanno cercando fonti di approvvigionamento alternative per colmare il divario e anche i salari hanno iniziato a mostrare una maggiore volatilità “, ha affermato il capo della ricerca sul personale di Drewry, Rhett Harris. “In settori come quello delle navi portacontainer e delle navi di rifornimento offshore i livelli salariali hanno già fatto registrare un deciso incremento ma prevediamo un’accelerazione dei costi salariali anche per altri tipi di navi”.