«La Pandemia ha stravolto abitudini e modelli di consumo ma ci ha impartito anche alcune lezioni delle quali tenere conto». Con lo sguardo rivolto al futuro e con i piedi saldamente piantati nel passato, nella storia di una delle più importanti società armatoriali italiane, Cesare d’Amico non si tira indietro quando si tratta di dare la sua opinione su temi di attualità ed interesse generale.
«Abbiamo sicuramente compreso quanto oltre, troppo oltre, si sia spinta la delocalizzazione selvaggia di attività produttive, rivelatesi poi strategiche, verso mercati considerati più convenienti» dice l’amministratore delegato di d’Amico Società di Navigazione Spa, la holding armatoriale del Gruppo.
«Abbiamo capito che sotto il profilo logistico le logiche commerciali fondate su iper-produzione, zero scorte e just-in time non sempre rappresentano la giusta risposta alle esigenze di un mercato messo viepiù frequentemente sotto pressione da eventi avversi. Perché cicli macroeconomici negativi e cigni neri sono sempre dietro l’angolo».
Per d’Amico «il Covid ha sicuramente svelato i profili oscuri della globalizzazione e ha messo in crisi un modello logistico, quello dell’ on–time delivery, che fino a oggi ha funzionato come un orologio svizzero, grazie, soprattutto, ai numerosi investimenti sostenuti in questi anni dalle le grandi compagnie armatoriali, specie da quelle attive nel trasporto dei container».
Insomma, «l’emergenza pandemica ha messo in evidenza quanto oggi sia importante per i paesi europei tornare a ridefinire le proprie attività produttive su parametri diversi da quelli del passato». La sfida del futuro? «Dipendere meno dalla rotta della Seta e bilanciare la crescente influenza dai paesi asiatici attraverso la ricollocazione delle lavorazioni a livello regionale».
Accorciare catene logistiche diventate troppo lunghe, e quindi anaelastiche, è per l’ad del Gruppo una delle risposte da dare a chi chiede da tempo di risolvere i problemi di congestione di cui in questi mesi hanno sofferto diversi porti, europei ed extra-europei: «Certamente – sottolinea il manager -, il Container Excess Dwell Fee non solo non rappresenta una soluzione, ma rischia di essere anche controproducente».
La sanzione anti-congestione introdotta nei porti di Los Angeles e Long Beach e da far pagare ai vettori per i container di importazione che sostino troppo a lungo nei terminal marittimi, è secondo d’Amico «anti-democratica, un atto punitivo che non dovrebbe esistere».
Se è vero che molti attori della supply chain rischiano di essere messi al margine dalle distorsioni di una competizione chiaramente alterata da fenomeni non sempre gestibili, è anche vero, però, che i singoli Governi hanno la possibilità di porre i giusti argini a difesa degli interessi della collettività.
Quanto all’Italia, «non posso che confermare quanto dichiarato in altre sedi: al Governo Draghi va sicuramente attribuito il merito di aver restituito al Paese una posizione di co-leadership a livello europeo e internazionale. Purtroppo, non posso fare a meno di osservare come nei confronti dell’industria marittima il livello di attenzione non sempre sia stato in passato o risulti tutt’ora adeguato».
D’Amico ribadisce la necessità di un Ministero del Mare che provveda ad affrontare le molte sfide che attendono il settore: «Tutti i grandi Paesi europei – dice – hanno un Ministero della Marina Mercantile. Se vogliamo difendere i nostri interessi, dobbiamo dotarci di una struttura governativa con competenze specifiche su logistica, trasporti e portualità. Il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili ha infatti ambiti di intervento troppo estesi per potersi occupare pienamente del nostro settore».
I temi da affrontare sono molti. La cyber security è uno di questi. Fondamentale è poi la questione della sostenibilità ambientale. «C’è una rinnovata attenzione verso la lotta all’inquinamento e questa è una cosa positiva. Meno positivo è il tentativo dell’Unione Europea di imporre regole troppo restrittive che, se applicate sul mercato, rischierebbero di creare soltanto indebite distorsioni».
Il riferimento è al programma Fit for 55 e alla proposta dell’UE di disincentivare l’uso di carburanti fossili attraverso misure fiscali, come l’estensione al trasporto marittimo del sistema europeo di scambio delle emissioni (EU Emission Trading System – EU-ETS) e l’introduzione, a partire dal 2023, di una tassa da applicare a tutti i carburanti venduti nell’area economica europea, con l’opzione, per gli Stati Membri, di estenderla anche ai viaggi internazionali.
Da questo punto di vista, il vertice del Gruppo non fa mistero di condividere quanto dichiarato recentemente dal presidente di Assarmatori, Stefano Messina. «Tali misure possono essere facilmente eluse dallo shipping internazionale e rischiano di tradursi soltanto in un danno per l’economia nazionale» afferma d’Amico, che aggiunge: «Ad una nave proveniente dal Far East, ad esempio, basterà scaricare la merce in Nord Africa per evitare il conteggio del carbon credit. La conseguenza è che le grandi portacontainer da 20.000 TEU in su che oggi scalano i nostri porti potrebbero non farlo più dopo l’introduzione di questa tassa. Occorre che sia l’IMO ad occuparsene, a livello internazionale e in maniera globale».
Durante l’intervista, il ceo d’Amico Società di Navigazione Spa si è anche soffermato sull’andamento del mercato in due settori chiave per il gruppo: rinfuse solide e prodotti raffinati.
Con riferimento al dry bulk, la certezza è che dopo mesi di corsa al rialzo, il Baltic Dry Index ha iniziato a rallentare a causa della progressiva contrazione della domanda. L’indice stilato dal Baltic Exchange che riassume l’andamento dei noli time charter di quattro categorie di navi bulk carrier (Capesize, Panamax, Supramax e Handysize), ha infatti perso 168 punti martedì scorso, il 6,1% del totale, toccando il livello più basso dall’inizio di giugno.
I minori margini di guadagno non preoccupano però il manager, che da aprile scorso è anche ceo della business unit Dry Cargo, specializzata nel trasporto di carico secco: «Quello cui stiamo assistendo è un rallentamento che appare fisiologico e che non desta alcuna preoccupazione circa le prospettive di crescita del settore. Non dimentichiamo che nel suo complesso il 2021 è risultato essere un anno estremamente positivo, caratterizzato da noli decisamente sopra la media, sostenuti dal buon livello della domanda proveniente dal Far East».
D’Amico non intravede all’orizzonte segnali tali da far pensare alla possibilità di una reale inversione di rotta rispetto a quanto registrato nell’anno che sta per concludersi: «Nel 2022, i margini di guadagno saranno comunque superiori alla media anche se non ai livelli del 2021. Pur mantenendosi volatile, il mercato tenderà ad assestarsi in forma meno violenta rispetto a quanto visto sino ad ora».
Il manager italiano ha voluto sottolineare come la divisione Dry Cargo del Gruppo operi oggi una flotta di circa 50 navi, di cui dieci Handymax (fino a 40.000 Tonnellate); venti Ultramax (58-64mila tonn), venti Post Panamax/ Kamsarmax (82/87mila tonn.) e due mini Capesize (da 116.000 tonnellate). «Quest’anno, abbiamo dismesso le ultime tre navi costruite nel 2012, non propriamente eco-sostenibili. La flotta, completamente rinnovata, e composta da unità costruite dopo il 2014, ci consente di guardare al futuro con una certa tranquillità, anche con riferimento alla eventuale implementazione delle regole in materia di decarbonizzazione».
Anche nel settore delle product tanker, d’Amico si aspetta segnali di miglioramento già a partire dalla fine del 2021. «Nell’anno ancora in corso il mercato ha registrato una forte flessione a causa dell’acutizzarsi dell’emergenza pandemica e del ribilanciamento degli stock. Le rate di nolo, che all’inizio del 2021 viaggiavano attorno ai 14.000 dollari al giorno, sono progressivamente diminuite nel corso dei mesi, sino a scendere sotto quota 10.000 nel terzo trimestre».
Il quadro potrebbe però presto evolversi: la crescita economica mondiale, i tassi di vaccinazione in aumento, i livelli di mobilità crescenti e l’allentamento delle misure di distanziamento sociale stanno stimolando la domanda di petrolio: «A partire dal secondo trimestre del 2022, il mercato dovrebbe andare a consolidarsi su rate più alte» conclude d’Amico.