Non è la prima volta che viene sottolineato sui media nazionali: a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina e a causa della conseguente crisi energetica, il mondo si è scoperto più dipendente dal carbone, una risorsa di cui fino a pochi mesi fa i Paesi avrebbero voluto fare a meno.
Messa da parte la tanto citata transizione energetica, il ritorno del via libera alla fonte fossile è oggi visto come una misura necessaria per far fronte alla scarsità di energia rinnovabile.
Anche la Cina si trova nella necessità di assicurarsi un approvigionamento energetico più stabile. La sua economia sta chiaramente attraversando un periodo difficile a causa dei vari blocchi e delle restrizioni anti-covid che recentemente hanno impattato sull’efficienza operativa di aree commerciali strategiche per il Paese.
Come sottolineato da Lloyd’s List, le misure di blocco, che dall’inizio di quest’anno hanno colpito molte città cinesi, inclusa Shanghai, stanno pesando sulla domanda di elettricità. A Marzo, la produzione di energia termica è già diminuita del 5,7% su base annua.
Nel frattempo, nel primo trimestre dell’anno la produzione nazionale di carbone è aumentata di quasi il 13%. Nel Paese nessuno ha dimenticato l’energy crunch che a settembre del 2021 lasciò milioni di cittadini al buio, con le fabbriche costrette a interrompere la produzione per giorni.
Un blackout nazionale, provocato dall’aumento vertiginoso del prezzo del carbone, causato a sua volta da una combinazione di altissima domanda in Cina e di scarsità di approvigionamenti.
Ora che ci avviciniamo al periodo estivo, e a possibili picchi del consumo di elettricità, il Governo di Pechino ha deciso di correre ai ripari. E lo ha fatto non soltanto imponendo l’aumento della produzione nazionale.
E’ notizia di ieri, infatti, che l’Impero del Dragone ha deciso di azzerare provvisoriamente, da maggio a fine marzo 2023, le tariffe doganali sulle importazioni di coal, cercando così di stimolare un mercato fermo a causa del caro prezzi delle materie prime.
Si prevede che il taglio delle tariffe, che oggi vanno dal 3 al 6% a seconda del tipo di carbone, avrà un impatto limitato sullo stimolo delle importazioni dall’Indonesia, il più grande fornitore di carbone della Cina, che già gode di scambi duty-free nell’ambito degli accordi commerciali esistenti.
Lo stesso dicasi di un altro importante fornitore, l’Australia, di cui sono state bloccate le esportazioni a causa delle tensioni tra i due Paesi.
Resta la Russia, che l’anno scorso è diventata il secondo venditore di coal della Cina, e che, secondo molti esperti, ha maggiori probabilità di beneficiare della nuova politica economica cinese. Ad affermarlo, a Bloomberg, sono gli analisti di Morgan Stanley, secondo i quali l’iniziativa sull’azzeramento delle tariffe doganali è anche una risposta alle interruzioni della logistica del carbone nazionale a Qinhuangdao.
Il taglio delle tariffe basterà da solo a spingere gli acquirenti cinesi ad acquistare più carbone russo? E’ difficile dirlo.
Quel che è certo è che a Marzo le importazioni di coal dalla Russia sono crollate del 30% su base annuale. I timori sulle sanzioni economiche imposte al Cremlino da UE, Canada, Gran Bretagna e USA a causa del conflitto ucraino hanno sicuramente frenato gli acquisti, spingendo gli acquirenti cinesi a rivolgersi al mercato domestico, oggi più appetibile e più conveniente (i prezzi interni sono calmierati dal Governo).
Qualcosa però potrebbe cambiare nel breve/medio periodo. Di fatti, l’embargo europeo sul carbone proveniente dalla Russia, previsto a partire da Agosto, potrebbe contribuire ad abbattere i prezzi delle spedizioni russe. Secondo quanto riporta Reuters, nelle ultime settimane alcuni trader cinesi avrebbero iniziato a chiedere a Mosca carichi economici e avrebbero cercato di saldare il pagamento in yuan, aggirando così il sistema di transazione SWIFT, da cui la Russia è stata esclusa.
Gli analisti hanno stimato che la Cina potrebbe importare 20 milioni di tonnellate di carbone russo in più nel 2022 rispetto allo scorso anno.
Non solo. Nella ricostruzione fornita da Lloyd’s List – che cita una dichiarazione dell’analista di Freedom Finance, Vladimir Chernov – sarebbe in questi giorni in discussione un accordo con la Russia per fornire alla Cina 100 milioni di tonnellate di carbone all’anno. È il doppio dei volumi movimentati nel 2021.
Probabile dunque pensare che accanto alle politiche daziarie, la Cina stia valutando la possibilità di introdurre nuove misure governative per sostenere le importazioni russe di carbone.
D’altronde, la tanto vituperata fonte fossile continuerà a tenere banco sui mercati energetici per molto altro tempo ancora. Come riporta l’International Energy Agency, nel 2021 la produzione mondiale di elettricità dal coal è aumentata del 9% rispetto all’anno precedente. Il consumo di carbone raggiungerà quest’anno livelli record, arrivando a 8 miliardi di tonnellate metriche (il 2% in più rispetto al 2021). Un livello di consumo che potrebbe rimanere inalterato almeno fino al 2024.
Il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, ha ragione da vendere quando dice che la transizione energetica non sarà un atto ma un lungo processo, con stop and go, e anche passi indietro. E non sarà a costo zero.