La recente decisione della Commissione Europea concernente la “tassazione dei porti italiani” non può certo dirsi una sorpresa.
La procedura è cominciata nel 2013 con uno scambio di informazioni che aveva incluso tutti gli Stati membri. Nel 2017 arriva una richiesta di integrazione delle informazioni. Da quel momento l’interlocuzione ha visto svolgere esclusivamente due riunioni e diverse lettere molto dure con cui la Repubblica italiana ha respinto l’interpretazione che la Commissione dava delle norme italiane.
In realtà, il terreno di “battaglia” è squisitamente comunitario e ha ad oggetto il diritto della concorrenza europeo e le sue nozioni che sono autonome da quelle del diritto interno.
Risulta chiaro che la Decisione della Commissione si basa su un’interpretazione apparentemente superficiale delle norme europee in materia di concorrenza e mercato interno. Proviamo a citarne alcune.
La nozione di concessione
In primo luogo stupisce l’interpretazione delle concessioni in quanto la Commissione europea le ha spesso equiparate ad autorizzazioni (come accade, ad esempio, per e concessioni demaniali costiere e per i porti turistici) mentre in questa decisione, la Commissione pare privilegiare l’aspetto immobiliare. Con tutta evidenza, invece, il corrispettivo delle autorizzazioni potrebbe anche essere considerato un rimborso costi per l’attività di tipo autorizzativo.
La nozione di impresa
In secondo luogo, effettivamente, la nozione di impresa nel diritto europeo è evidentemente di carattere autonomo rispetto al diritto nazionale e non ha nulla a che vedere con la natura giuridica prevista dal diritto interno (ente pubblico piuttosto che società): tuttavia, non viene effettuata una corretta valutazione dei caratteri di prevalenza delle funzioni istituzionali che, invece, ha rilevanza per la Corte di giustizia.
Il vantaggio economico
Inoltre, è evidentemente insufficiente la valutazione della disponibilità del corrispettivo dei canoni da parte delle Autorità di sistema portuali (ADSP): queste ultime com’è noto, non sono libere di spendere come preferiscono i relativi introiti. Infatti, gli avanzi di amministrazione tornano spesso nella disponibilità dello Stato o, comunque, le autorizzazioni alla spesa dipendono spesso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Peraltro la valorizzazione dei beni su cui sono rilasciate le concessioni non produce alcun vantaggio competitivo per le ADSP da reinvestire: l’asset rimane di proprietà dello Stato che riprende possesso del bene a fine concessione attraverso l’istituto dell’incameramento. Per cui non è certo possibile accostare sic et simpliciter l’attività delle ADSP ad un’attività di carattere economico – immobiliare.
La nozione di mercato rilevante
Infine, la valutazione di mercato appare insufficiente: non è identificato un mercato rilevante in modo chiaro (c’è un generico riferimento alla competizione con altri porti) e tale valutazione è, come noto, una delle principali attività di carattere economico-giuridico che fungono da presupposto delle decisioni in materia di aiuti di Stato.
Il pregiudizio al mercato
Infatti, un’analisi dei flussi delle merci da e per i nostri italiani avrebbe potuto far emergere che, almeno attualmente, la concorrenza con altri porti europei é limitata a pochi terminali in Italia e pertanto non è possibile ravvisare alcun pregiudizio concorrenziale.
Tali valutazioni emergono anche dalle precedenti lettere inviate dalla Commissione europea e il tutto avrebbe dovuto essere essere approfondito in confronti di carattere tecnico che, con tutta evidenza, sono mancati.
Non rimane, quindi, altra strada se non quella di impugnare il provvedimento in questione dinanzi al Tribunale dell’Unione europea ai sensi dell’art. 263 TFUE.
Nel contempo, vista la ferma posizione espressa dalla Commissione, è evidente che occorre, con maggiore determinazione e soprattutto chiarezza rispetto al passato, proseguire nella leale cooperazione, il dialogo con la Commissione, come spesso si fa anche tra contro-parti di un contenzioso che siano in buona fede.
Se, infatti, la Decisione della Commissione europea presta il fianco a notevoli critiche, non può essere nascosto che la normativa italiana appare oggi stratificata e conseguentemente poco chiara sotto il profilo del principio di trasparenza e della necessaria separazione tra le Attività d’impresa, che dovrebbero essere svolte esclusivamente dai terminalisti e dalle imprese autorizzate da parte proprio delle Autorità di sistema portuale e le Attività di amministrazione pubblica e regolazione, di competenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e delle ADSP, e tese ad autorizzare le attività, verificare la rispondenza con gli interessi pubblici e regolare il mercato rilevante (seppur con incursioni dell’Autorità di regolazione dei Trasporti che necessitano di chiarezza).
Pertanto ogni eventuale interlocuzione non potrà che presupporre una compiuta attuazione di tale principio.