Pubblichiamo un estratto del contributo di SRM al VI Rapporto sull’economia del mare presentato dal direttore generale Massimo Deandreis in occasione della quarta edizione dello Shipping, forwarding&logistics meet industry
Il Mediterraneo concentra il 20% dello shipping globale e ricopre un ruolo strategico.
Il Nuovo Canale di Suez ha contribuito in misura notevole ad accrescerne la centralità. Il 9% degli scambi internazionali utilizza questa grande via di passaggio: nel 2018 è stato segnato il doppio record, in termini di numero di navi (oltre 18 mila, +3,6%) e di cargo trasportato (983,4 milioni di tonnellate, +8,2%). Il 2019 sta confermando questi importanti risultati.
La crescente centralità dell’area Med è evidente anche dal dato dei flussi di navi container lungo le maggiori rotte Est-Ovest. Rispetto al 1995 i traffici tra l’Europa e l’Asia sono aumentati a un tasso medio annuo dell’8,2% raggiungendo quota 25 milioni di TEU. La rotta transatlantica è cresciuta invece a un tasso medio annuo del 4.4% (8 milioni di TEU), mentre quella transpacifica, la più trafficata in assoluto con i suoi 28,2 milioni di TEU, è cresciuta del 5,2%, si tratta di un incremento che sarebbe stato probabilmente maggiore se l’anno scorso il trade non avesse subito i contraccolpi dovuti all’oversupply e alla riduzione dei volumi effetto della Trade war US-China.
Anche il traffico di rinfuse liquide ha mostrato una buona performance per i porti europei che si affacciano sul Mediterraneo: la movimentazione di prodotti petroliferi greggi e raffinati nel periodo 2004-2018 è aumentata del 4%, a fronte di un 2% a livello globale.
Diverso è invece il discorso per le rinfuse solide: se nel mondo c’è stato un aumento medio annuo del 4,4% tra il 2004 e il 2018, nello stesso periodo nei principali porti del Nord Mediterraneo la movimentazione di queste merci ha registrato una riduzione del 15%.
A contribuire a rafforzare la centralità nella geo-economia marittima del Mediterraneo interviene anche la strategia Belt & Road intrapresa dal governo cinese, che sostanzialmente si propone di sostenere l’infrastrutturazione dei commerci euro-asiatici che proprio nel Mare Nostrum trovano la rotta ideale. Il Dragone ha infatti investito in molti porti e terminal del bacino.
Lo shipping, come noto, è un settore globale, strettamente legato all’andamento dell’economia e del commercio internazionale che viaggia via mare per l’80% in peso e per il 70% in termini di valore.
Le guerre commerciali, il riaffiorare del nazionalismo e del protezionismo, la Brexit, oltre che il perpetrarsi delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente e in America Latina, stanno generando un’incertezza significativa nei tre settori principali- dry cargo, tanker e container– che sta già avendo impatti sull’andamento del mercato.
Grande incertezza deriva anche dalle implicazioni connesse ai regolamenti IMO 2020 che segnano una stretta sulle emissioni inquinanti nel trasporto marittimo. La normativa internazionale impone che i combustibili impiegati dalle navi a partire dal 1° gennaio 2020 debabno avere un tenore di zolfo dello 0,50%.
Infine occorre considerare l’impatto della diffusione dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione nel settore, sia per le navi che per le infrastrutture, che apre a nuove opportunità ma anche al rischio di grandi cambiamenti negli equilibri internazionali.
I fenomeni delineati generano non soltanto un nuovo disegno dei commerci mondiali via mare, ma modificano anche le regole della competitività dei porti, che ormai non possono basare la loro crescita soltanto sulla dotazione infrastrutturale, materiale e immateriale, ma devono essere in grado di offrire servizi a valore aggiunto, aree retroportuali in cui possano insediarsi attività manifatturiere e logistiche da gestire in ambienti favorevoli anche dal punto di vista fiscale e burocratico o comunque devono evolversi verso modelli innovativi.
L’Italia è uno dei Paesi più importanti nel sistema del Mediterraneo, ma il suo traffico marittimo oscilla da tempo intorno al mezzo miliardo di tonnellate e ai 10 milioni di TEU. Sia pure con qualche difficoltà nell’attrarre i grandi traffici internazionali, il nostro Paese ha saputo però rafforzare il suo ruolo nello Short Sea Shipping ( con 230 milioni di tonnellate di merci trasportate, pari al 37,4% del totale), avvantaggiandosi anche della presenza di grandi armatori leader mondiali nel comparto.
Per i flussi di container lungo le direttrici deep sea, l’andamento del traffico italiano mostra però una diversa vitalità: la Spagna ha consolidato il suo peso nonostante la concorrenza dei grandi porti nord africani e del Pireo, che hanno tutti mostrato una crescita superiore a quella del nostro Paese. Questo è imputabile principalmente al progressivo calo dei traffici di transhipment che hanno subito una contrazione tale da perdere nell’ultimo periodo una quota significativa di incidenza sul totale italiano, in parte compensata dalla ottima performance dei porti gateway.
I fattori di successo dei porti competitor analizzati sono diversi. La crescita degli investimenti (pubblici e privati, così come gli investimenti esteri diretti) nei porti genera nuovi servizi e nuove attività: esemplare è il caso del Pireo, le cui operazioni sono gestite dalla cinese COSCO e il cui traffico dal 2009 è aumentato del 640% arrivando a quasi 5 milioni di TEU.
Importante in altri casi è stata la realizzazione di retroporti in cui sono state stabilite le attività industriali e manifatturiere accanto a numerose funzioni logistiche a valore in ambiente ZES (zone economiche speciali – cioè con defiscalizzazione parziale o totale per i flussi export o riexport e import). Tra le più note e competitive nel Mediterraneo vi sono la Tanger Med Free Zone e la Suez Canal Zone (SCZ).
Anche per il traffico rinfusiero il nostro Paese evidenzia una minore incidenza: negli ultimi 10 anni le movimentazioni di merci liquide sono cresciute del 23% (passando da 149,8 milioni di tonnellate del 2009 a 184 del 2018), meno dei suoi competitor europei sul Mediterraneo (Spagna: 30% e Grecia: 34%) ad eccezione di alcuni casi (Marsiglia: -25%).
Le rinfuse solide hanno registrato una variazione positiva dell’11%, passando da 59,2 milioni di tonnellate del 2009 a 65,6 del 2018, ciò non ostante i porti italiani sono indietro rispetto a Francia (+77%), Spagna (38%) e Grecia (+13%).
Emerge chiaramente la necessità di cambiare approccio: si fa sempre più forte l’esigenza di politiche e di un quadro normativo di supporto e flessibile che consenta ai nostri scali di sviluppare attività logistico-industriali che siano di sostegno a quelle portuali in senso stretto. La cooperazione fra pubblico e privato è fondamentale a questo riguardo.
Va in questa direzione la normativa sulle ZES e sulle ZLS, aree collegate ai porti dove avvengono le attività industriali e manifatturiere accanto a numerose funzioni logistiche a valore, agevolate da sburocratizzazione e da defiscalizzazione parziale o totale per i flussi export o ri-export e import. Esse costituiscono una sfida e un’opportunità per l’economia e la logistica italiana.
Le considerazioni fin qui realizzate trovano conferma anche nell’analisi degli indicatori di competitività e connettività portuale/logistica, che consente anche la comprensione del posizionamento strategico del nostro Paese rispetto ai principali competitor marittimi e di evidenziare i principali punti di forza e debolezza in termini di connessione e di logistica.
Lo studio fa riferimento al Liner Shipping Connectivity Index (LSCI), al Port Liner Shipping Connectivity Index (PLSCI) e al Bilateral Liner Shipping Connectivity Index (BLSCI) dell’UNCTAD e al Logistics Performance Index (LPI) dalla Banca Mondiale.
Per ognuno di questi la performance nazionale è stata confrontata con quella di altri paesi “comparable”, sia europei quali Francia, Spagna e Grecia, sia della Sponda Sud-Est quali Marocco, Egitto e Turchia.
Il Liner Shipping Connectivity Index (LSCI) valuta il livello di inserimento di un paese all’interno del network del commercio internazionale che è una determinante importante per i suoi costi di import-export e dunque per la sua competitività. Nel 2019, con un indice di 72,8 l’Italia è 13° nel ranking mondiale e, rispetto ai nostri competitor, è seconda solo alla Spagna.
Il Port Liner Shipping Connectivity Index (PLSCI) mostra come primo porto italiano Genova, che ricopre la 32° posizione al mondo, seguito da Gioia Tauro al 40°. Anche questa classifica è dominata dai porti asiatici (Shanghai, Singapore e Busan occupano i primi posti) mentre l’Europa appare con Anversa, Rotterdam e Amburgo che si trovano al 6°, 7° e 13° posto rispettivamente. Il primo scalo del Mediterraneo è il Pireo 21° nel ranking.
Interessante è anche la valutazione della crescita di quest’indice rispetto al 2006, primo anno preso a riferimento dall’UNCTAD che vede il porto di Tanger Med 2° nel mondo.
Il Bilateral Liner Shipping Connectivity Index (BLSCI) rileva che l’Italia presenta le connessioni bilaterali più forti con la Spagna (0,7), la Francia (0,68), la Cina (0,65), Singapore (0,64) e gli Stati Uniti (0,64). Se si confronta la situazione con il 2006 emerge come siano mutate le posizioni: fermo restando Spagna e Francia, già allora i partner principali, si sono rafforzate le relazioni bilaterali con la Cina, Singapore e gli Stati Uniti, a sfavore di Regno Unito, Germania e Belgio.
L’International Logistics Performance Index (LPI), misura l’efficienza logistica di un Paese e l’Italia occupa la posizione numero 19 nel ranking dietro Francia e Spagna ma prima degli altri competitor.
Andando ad analizzare nel dettaglio le sei componenti dell’LPI dell’Italia risulta che il punteggio migliore (4,13) lo ha ottenuto sulla frequenza con la quale le spedizioni raggiungono i destinatari entro i tempi prestabiliti, mentre quello più basso (3,47) sull’efficienza delle operazioni doganali.