Quest’anno la guerra dei dazi potrebbe fare male, anzi malissimo, all’economia del mare statunitense. Lo dicono le proiezioni di traffico riportate pochi giorni fa dall’Autorità Portuale di Los Angeles: il fallimento dei negoziati tra la Cina e gli USA avrebbe un impatto significativo sul principale porto della west coast, che nel 2019 rischierebbe di perdere sino al 20% dei propri volumi di mercato.
Tradotto: 2 milioni di TEU sui quasi 10 milioni movimentati nel 2018 dallo scalo marittimo del Nord America. È il tesoretto che verrebbe dilapidato se i due contendenti, Donald Trump e Xi Jinping, non riusciranno a raggiungere una tregua definitiva entro il 1° marzo, dead line oltre la quale su 200 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina, gli extra balzelli del 10% già in vigore verrebbero portati al 25%.
Nonostante il presidente americano abbia dichiarato in più di un’occasione di non volersi impiccare alle date di scadenza, ritenendo possibili ulteriori proroghe dei termini nel caso in cui i negoziati in corso lasciassero intravedere un qualche spiraglio di luce, la vulgata concede un unico aggettivo intimista, “preoccupati”, a chi tenta di capire gli umori degli operatori a stelle e strisce, che tra annunci di passi in avanti e timori di stallo, procedono a tentoni.
E quel 20% in meno di traffici, lanciato più come monito, un segnale di allarme, che come un dato incontrovertibile, rischia di diventare l’epitaffio sulla tomba del libero mercato.
L’algoritmo del protezionismo ha però una gamma infinita di modulazioni; oggi i porti statunitensi stanno infatti soffrendo del problema diametralmente opposto rispetto a quello paventato dall’AP di Los Angeles: risultano essere per la maggior parte congestionati a causa dell’impennata dei volumi di traffico che si è venuta a registrare da quando è iniziato il balletto sugli extra-dazi. Per tutto il 2018 i caricatori hanno infatti anticipato le spedizioni di una enorme quantità di merce per evitare l’eventuale (ma sempre più probabile) nuovo aumento dei dazi. Per mesi i container si sono accumulati uno sopra l’altro nei terminal specializzati, con effetti devastanti per l’efficienza operativa di quasi tutti i porti americani.
Non è un caso se nel 2018 gli scali statunitensi sono arrivati a movimentare il volume record di 21,8milioni di TEU, con un incremento del 6,2% rispetto al precedente primato del 2017 pari a 20,5 milioni di TEU. Si tratta di uno degli aspetti più curiosi della guerra daziaria in atto tra i due Paesi: per il momento il protezionismo ha fatto aumentare il volume di affari dello shipping, contribuendo a erodere l’eccesso di stiva e a favorire un migliore bilanciamento tra la domanda e l’offerta lungo le rotte transpacifiche.
É probabile che i caricatori continueranno a spedire volumi elevati di merce per tutto il primo trimestre del 2019, quanto meno sino al primo marzo di quest’anno. Ma che cosa succederà dopo? È lecito aspettarsi un buco delle spedizioni per tutto il 2019 e un crollo dei traffici? Difficile rispondere oggi.
Drewry si aspetta per quest’anno una crescita della domanda mondiale di trasporto containerizzato del 4%, in leggera contrazione rispetto all’anno scorso. E non è detto che le stime non possano essere ulteriormente riviste al ribasso.
Ciò che il cluster marittimo americano e i potenziali investitori temono di più non è certo la congestione dei terminal, ma l’incertezza che si è venuta a creare a causa della cosiddetta trade war tra Washington e Pechino. A livello mondiale, gli analisti prevedono che nel corso dell’anno i porti dovranno prepararsi ad assorbire una capacità addizionale di container pari a 25 milioni di TEU, affrontando investimenti per un totale di 7,5 miliardi di dollari e arrivando a movimentare un totale di 800 milioni di TEU. C’è da chiedersi come si distribuiranno tutti questi contenitori lungo le varie rotte e se l’eventuale crisi dei traffici transpacifici di cui il fallimento dei negoziati potrebbe essere la causa non finirà con l’avvantaggiare i mercati europei e gli scambi commerciali sul trade transatlantico.
Quel che è certo è che i porti USA rischiano di essere danneggiati dalle troppe incognite presenti: il mercato è estremamente ricettivo, ipersensibile, registra in tempo reale qualsiasi cambiamento avvenga in campo geo-politico e risponde velocemente agli impulsi, ridisegnando continuamente i flussi commerciali. Il ventilato aumento delle tariffe di carico per il 2019 e la prosecuzione della guerra commerciale sino-americana pesa come un macigno sulle proiezioni di oggi e rischia di condizionare pesantemente il futuro.