Giuliano Gallanti è stato un protagonista della portualità italiana. Primo presidente dell’Autorità portuale di Genova dopo la epocale riforma del 1994, chiamato quindi a gestire il passaggio dal vecchio al nuovo nel porto (dove la presenza dei camalli non era solo una forza sociale ma un vero e proprio simbolo), Gallanti raccolse da un lato l’eredità dell’ultimo presidente del Consorzio autonomo, Roberto D’Alessandro, anche lui singolarmente scomparso pochi giorni fa, dall’altro seminò le novità della riforma, lanciando un ponte verso il futuro.
Dopo Genova, è stata la volta di Livorno, scelto come presidente da un Ministro di destra (Altero Matteoli) e un Presidente di Regione di sinistra (Enrico Rossi), a testimonianza di come ne venisse da tutti apprezzata la competenza tecnico-professionale. Tra i due incarichi nazionali, la presidenza di Espo, l’associazione europea dei porti marittimi: traguardi dove difficilmente si trovano italiani. Era un orgoglio accompagnarlo all’estero e vedere la familiarità con cui lo accoglievano i rappresentanti dei più grandi porti europei.
Carattere apparentemente burbero, a volte spigoloso ma in realtà dotato di grande sarcasmo e ironia, intriso di rispetto per le istituzioni pubbliche e uomo di grande lucidità e di grande visione strategica. Non a caso i suoi primi pensieri, sia a Genova che a Livorno, furono rivolti a dotare i due porti di Piani regolatori che mancavano da anni (a Livorno dal 1953), consapevole del fatto che solo adeguati strumenti di pianificazione garantiscono l’accesso a risorse pubbliche e private.
A Livorno ha sposato con forza anche due progetti che non guardavano a mare ma a terra: la trasformazione dell’Interporto Vespucci da soggetto immobiliarista a luogo per l’erogazione di servizi portuali alla merce; le connessioni ferroviarie del porto con la rete tirrenica e la dorsale centrale, che oggi stanno diventando realtà perché, come amava ripetere, «la concorrenza tra porti comincia quando il contenitore è sbarcato in banchina»
Grande passione per il lavoro, grande conoscenza dei temi portuali acquisita sul campo, grande attenzione per i lavoratori, come era naturale per un uomo della borghesia ma formato ai valori della sinistra operaia: uno di quelli che alcuni stupidi chiamano radical chic. Ma anche uomo di grande cultura e larghe vedute.
I miei ricordi dei sei anni passati insieme sono pieni di cene in cui, dopo una giornata passata in ufficio, era assolutamente proibito parlare di lavoro. E allora si spaziava dalla letteratura al cinema francese, che adorava, dal calcio degli anni ’60 (rivendicava di essere stato un’ala destra di valore) al suo grande amore, insieme ai porti: la storia politica d’Italia, con aneddoti, riflessioni e, ancora una volta, l’amarezza di non trovare oggi uomini con una “visione” sul futuro.
Battagliero ma con intelligenza, a volte irascibile ma col pallino della mediazione e del bene comune, Gallanti ha nel tempo espresso la sua autorevolezza senza schiamazzi, col senso anzi di riservatezza proprio della sua terra d’origine. Quando parlava non era mai per dire banalità ma spesso per indicare la luna mentre altri guardavano il dito.