Interviste

Colloquio con Luca Sisto

Mar Rosso, così la crisi ridisegna traffici e priorità

di Marco Casale

L’escalation della tensione nel Mar Rosso sta ridisegnando le direttrici di traffico, con un impatto sui porti italiani che col passare del tempo sta diventando sempre più evidente. «Alcuni porti soffrono più di altri ma è un dato di fatto che questa crisi sta imponendo al settore nuovi paradigmi su cui ragionare» afferma a Port News il direttore generale di Confitarma, Luca Sisto.

«Dai tempi della pandemia abbiamo appreso la natura versatile della catena logistica, che ha saputo adeguarsi ai cambiamenti imposti dalla situazione emergenziale, garantendo, anche e soprattutto attraverso il contributo dei marittimi e dei lavoratori portuali, l’approvigionamento costante di beni di prima necessità e di altri prodotti» premette Sisto, precisando come anche in questo caso la logistica si stia progressivamente riadattando ad una nuova “normalità”.

«La circumnavigazione dell’Africa dal Capo di Buona Speranza rappresenta ormai la norma – ammette -; per arrivare nel Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra occorrono tempi di navigazione più lunghi del 30%, dieci giorni in più rispetto a quelli che occorrerebbero se le navi avessero continuato a transitare da Suez. La crisi sta quindi ridisegnando nuove direttrici ancor più lontane da quelle che interessano il nostro Paese e che rischiano di avvantaggiare altri porti competitor, come quelli del Nord Europa».

Dallo scorso dicembre i traffici da Suez sono diminuiti di un range che va dal 72 al 42%, secondo diversi studi e analisi: «Se la situazione conflittuale dovesse proseguire a lungo, i porti italiani potrebbero subire nuove ripercussioni, soprattutto quelli dell’Adriatico, che sono più lontani da Gibilterra” aggiunge il dg della Confederazione Italiana Armatori.

Anche gli armatori hanno i loro problemi da affrontare: «Si naviga di più per raggiungere le stesse destinazioni. Sono di conseguenza aumentati i costi del bunker ed è peggiorato il coefficiente di riempimento della nave. Inoltre, a gennaio del 2024 è entrato in vigore il nuovo sistema di scambio europeo delle quote (ETS), che ha generato nuove diseconomie di scala».

Quello dell’ETS è per Sisto un enorme autogoal: «In un settore come il nostro, interventi di questo tipo finiscono con l’incidere sulla competitività delle imprese europee. Considerando che l’ETS è entrato in vigore a gennaio del 2024, diventa adesso fondamentale capire come verranno utilizzate le risorse economiche prodotte dall’applicazione della carbon tax. Se questi soldi non verranno reinvestiti per favorire la transizione ecologica dell’industria che li ha generati, ci troveremmo a commettere un altro errore. Sarebbe utile invece che una parte cospicua di questi soldi venisse usata per favorire la transizione della nostra flotta».

Certo, è difficile immaginare quale sarà il combustibile del futuro: «Molte navi continueranno ad andare a gasolio, altre useranno combustibili alternativi, come il GNL. Il problema principale da affrontare sarà dato dalla reperibilità di questi nuovi carburanti. Un esempio su tutti: in Italia l’armatore Matacena (Caronte&Tourist) è stato il primo a varare un traghetto alimentato a GNL per la  tratta Messina-Villa San Giovanni; oggi però lacune procedurali, costi di trasporto e soprattutto assenza di infrastrutture rendono difficoltoso l’approvvigionamento di questo prodotto sia per le navi che per le sempre più numerose flotte di TIR convertitesi al GNL».

Sisto ribadisce che su questi temi è necessario un approccio a livello di Sistema Paese: «I nuovi fuel costeranno sicuramente di più di quelli tradizionali, occorre quindi agire sulla catena del costo per far sì che la transizione ecologica non finisca con il danneggiare la competitività del nostro Paese. Ricordo, ad esempio, come nell’ambito del PNRR siano state date molte risorse ai porti italiani per lo sviluppo del cold ironing: si è pensato però di investire unicamente sulla portualità, sulla presa, e non sulle navi – la spina – che pure dovrebbero essere le reali beneficiarie del cold-ironing».

Tornando alla crisi del Mar Rosso, il dg di Confitarma sottolinea che le diseconomie di scala dell’ETS, i nuovi costi di bunker derivanti dal prolungamento dei viaggi e quelli assicurativi connessi al “war risk” avranno delle chiare ricadute sul prezzo del prodotto trasportato e quindi, sul consumatore finale, anche «se la ricaduta inflattiva che temevamo all’inzio della crisi è risultata essere abbastanza contenuta”. Anche le grida di allarme sul nuovo aumento dei noli container vanno contestualizzate e storicizzate: «E’ vero che su alcune rotte, come sulla tratta Genova-Shanghai, i valori sono aumentati di oltre il 250% in pochi mesi, ma è anche vero che non partivamo dai valori altissimi del periodo pandemico».

Altro elemento da non trascurare e strettamente connesso con l’attuale crisi congiunturale è quello della sicurezza: «Abbiamo l’abitudine di parlare di numeri, dati, ma spesso dimentichiamo che a muovere quei numeri e quelle merci sono i marittimi che ogni giorno navigano a bordo delle navi. La loro salvaguardia deve essere una delle priorità di tutto il cluster».

Confitarma si occupa da tempo delle questioni di sicurezza in ambito della navigazione, tanto che nel 2006, con l’esplosione della pirateria nel golfo di Aden, aveva aperto un tavolo tecnico con la Marina Militare, individuando la necessità di far avvicinare le istanze della marina mercantile a quelle di chi invece ha tra i suoi principali obiettivi quello di proteggere i traffici marittimi: «Forti dell’esperienza maturata in questo campo, al momento dello scoppio della crisi nel Mar Rosso, abbiamo immediatamente scritto alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e al ministro della Difesa, Guido Crosetto, chiedendo il dispiegamento di almeno una unità navale nella zona. Il Governo ha risposto immediatamente, inviando nave Fasan nell’area di crisi. Si è trattata di una scelta significativa che ha infuso tranquillità a tutto il settore e prodromica al dispiegamento in mare della missione Aspides».

Al centro dell’attenzione della Confederazione degli armatori italiani ci sono però i marittimi: «Il mondo post-globale non offre più interpretazioni inoppugnabili, né certezze o rischi misurabili. I nostri marittimi non dovrebbero trovarsi al centro di tutto questo, esponendosi in prima persona ai rischi».

Per Sisto diventa oggi ancora più strategico intervenire sul tema dell’accesso ai mestieri del mare. «Il tema – afferma – ha due difficoltà: la prima è di carattere economico e attiene a quella del finanziamento dei corsi di formazione per i ragazzi che vogliano entrare a far parte di questo mondo. Confitarma ha ad esempio richiesto ed ottenuto un intervento pubblico per  finanziare il basic training per gli aspiranti ufficiali della marina mercantile, ma si tratta chiaramente dell’inizio di un percorso».

L’altra questione è legata alla semplificazione delle norme: «Ci sono oggi alcune professionalità che è estremamente difficile reperire a bordo nave, come quella ad esempio del cuoco e del cameriere. Servono quindi dei pacchetti normativi che semplifichino l’accesso a questi mestieri e serve uno svecchiamento delle norme: ce ne sono alcune che risalgono al 1895».

Durante l’intervista, Sisto ha anche accennato alla portualità: «Sul tema della riforma ci sono decine di interventi e studi. Non intendiamo sostituirci al legislatore. Quello che però vogliamo sottolineare è la necessità di dare più voce ai nostri armatori. Un tempo c’erano i comitati portuali, considerati troppo pletorici, ma oggi siamo passati al partenariato consultivo. Forse, si è trattato di un salto troppo brusco. Riteniamo che gli armatori italiani possano dare un importante contributo effettivo al settore, perché conoscono meglio di altri quali sono le potenzialità e le inefficienze dei porti».

Sisto ricorda che da tempo Confitarma chiede di poter partecipare ai lavori della Conferenza dei presidenti delle AdSP: «Dovremmo cominciare a parlare di numeri e dati reali ed evitare di considerare i container come l’unica tipologia di traffico da prendere in considerazione per misurare l’importanza di uno scalo portuale» dice. «Dimentichiamo a volte che il nostro Paese ha invece una leadership indiscussa nel traffico RO/RO: nel 2023, sono transitate in import export dai nostri porti 220 milioni di tonnellate di merce rotabile contro le 219 milioni di tonnellate di merce containerizzata. Abbiamo una vocazione in questo segmento, siamo i primi armatori al mondo. Dovremmo quindi valorizzare le specificità di ogni singolo porto, dietro l’attenta supervisione di una regia nazionale».

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