I marittimi italiani hanno una notevole capacità di resilienza, sono efficienti sul lavoro e hanno un forte senso di responsabilità: di contro però collaborano poco fra di loro e devono fare i conti con fattori negativi come ripetitività e stress. Sono significative però le differenze nelle loro percezioni, che variano a seconda della collocazione del marittimo all’interno della gerarchia lavorativa.
Questi in estrema sintesi i risultati di una ricerca presentata oggi a Genova, a Palazzo San Giorgio, nel corso del convegno “Nella testa dei marittimi: un’analisi psicologica dei bisogni” organizzato dal sindacato dei lavoratori marittimi USCLAC-UNCDIM-SMACD e tenuto nell’ambito della Port & Shipping tech conference, evento della Genoa Shipping Week.
Lo studio è stato realizzato da Psicologia del Mare, un gruppo di ricerca dell’Università di Torino e della Sapienza – Università di Roma composto da dottorandi e professoresse psicologhe specializzate in psicologia del lavoro e giuridico-forense che si occupa di promuovere il benessere psicologico tra i marittimi italiani e stranieri. A presentare i risultati sono stati gli psicologi Francesco Buscema e Clarissa Cricenti.
Al convegno hanno preso parte anche Isabella Susy De Martini, medico di bordo, Mariachiara Sormani segretario del gruppo tecnico Education e capitale umano di Confitarma e Giovanni Consoli, dirigente della politica marittima di Assarmatori.
Lo studio di Psicologia del Mare intendeva esplorare i rischi psicosociali e i fattori di protezione nella marineria italiana ed è stato condotto attraverso un questionario online, volto a mappare i principali fattori di stress e quelli protettivi dei lavoratori.
Il campione indagato è di oltre 848 marittimi (di cui 519 per le analisi), per il 94% uomini, di età media di 41 anni, per il 79% in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado e coniugati per il 51%.
Per quanto riguarda lo status dei marittimi oggetto della ricerca, il 45% sono ufficiali, il 33% comandanti o direttori di macchina e il 21% sottufficiali o comuni. Quanto alla tipologia di navi si cui sono impiegati, il 48% opera su navi passeggeri, il 32% su cargo e il 19% su unità operative.
Dal punto di vista delle risorse lavorative, lo studio evidenzia come in linea generale i marittimi italiani possano contare su bassi livelli di supporto tra colleghi e leadership trasformativa, in maniera più critica fra i lavoratori più in basso nelle gerarchie di bordo.
Per quanto riguarda qualità dell’ambiente di lavoro e clima di sicurezza esistono differenze significative nella percezione: comandanti/direttori/capi commissari reputano maggiormente adeguato l’ambiente di lavoro rispetto a chi ha uno status più basso (valore di 3.5 in una scala da 1 a 5) e mettono in atto pìù comportamenti di sicurezza rispetto a sottufficiali/comuni.
I marittimi ai vertici di bordo si caratterizzano per più alti livelli di responsabilità, autonomia e flessibilità (valori fra 4 e 5) e riportano di subire le pressioni lavorative in misura minore.
Comandanti/direttori/capicommissari infine riportano minori dinamiche relazionali negative sul posto di lavoro e minore solitudine emotiva rispetto agli ufficiali, mentre non vi sono differenze significative con i sottufficiali e i comuni.
Quanto al carico di lavoro comandanti/direttori/capicommissari riportano minori pressioni lavorative rispetto a sottufficiali/comuni, e minor carico fisico rispetto a tutti coloro che sono inferiori in grado. Riportano però un maggior carico cognitivo rispetto ai sottufficiali/comuni.
In relazione alla gestione dello stress infine, comandanti e direttori e capicommissari riportano minori livelli di stress legati alla gestione del tempo rispetto agli ufficiali, ma con maggiori livelli di stress legati alla gestione di una possibile emergenza.
In sintesi, i marittimi, indipendentemente dallo status ricoperto a bordo, mostrano livelli elevati di resilienza, autoefficacia lavorativa ed anche umorismo, mentre sembrerebbero più compromessi i livelli di supporto ricevuto dai colleghi e la leadership trasformativa. Queste risorse sono fondamentali per permettere all’individuo di adattarsi a uno specifico contesto e affrontare lo stress in modo adeguato diminuendo il rischio di sviluppare forme di malessere come disturbi del sonno o burnout (esaurimento).
Tutti i marittimi infine sembrano reputare il lavoro ripetitivo che, insieme a un ambiente di per sé “monotono” (p. es. impiego sulle stesse tratte per diversi mesi, esposizione a un ambiente esterno sempre uguale) può aumentare i livelli di ipostimolazione connessa alla mancanza di risposta al fondamentale bisogno di interazione con l’ambiente e, quindi, a più elevati livelli di malessere a bordo e conseguenti comportamenti atipici.
La ricerca, in conclusione, mostra la necessità di intervenire nella popolazione generale di marittimi su alcuni elementi (es. supporto dei colleghi, routine lavorativa), ma di personalizzare l’eventuale formazione e/o intervento a seconda dello status ricoperto a bordo, ovvero delle specifiche difficoltà riferite: solo in questo modo si potrà intervenire in modo completo e in linea con i bisogni dell’individuo, ed incrementare così il livello di benessere sul lavoro.
“Riteniamo che la ricerca presentata oggi confermi per molti versi quanto sosteniamo da anni circa la necessità di intervenire per migliorare le condizioni di lavoro dei marittimi, soprattutto in relazione alla gestione dello stress e alla qualità del riposo. Alcuni dati emersi fanno riflettere, come ad esempio lo scarso supporto dei colleghi, credo quindi che bisognerà adottare politiche ed iniziative specifiche di sostegno sia pratico che psicologico per tornare a quei livelli di solidarietà e aiuto reciproco che in un ambiente di lavoro complesso come la nave sono fondamentali” ha dichiarato il comandante Claudio Tomei, presidente di USCLAC.