Con la sentenza del Tribunale internazionale, che assegna all’Italia la competenza a giudicare sul caso, giunge finalmente a una svolta decisiva la vicenda dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, coinvolti nell’incidente del 15 febbraio 2012 in cui morirono due pescatori. Il processo ai fucilieri si terrà dunque in Italia.
Il primo a gioire di questo risultato è stato l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri nel Governo Monti. «Questa decisione – spiega a PortNews – dimostra come la strada dell’arbitrato obbligatorio, da me perseguita fin dall’inizio, fosse l’unica realmente percorribile. L’unica vincente per entrambi le parti, l’Italia e l’India».
La giustizia ha fatto finalmente il suo corso ma per l’alto diplomatico si è perso troppo tempo: «Dopo il Governo Monti, anche gli esecutivi guidati prima da Letta e poi da Renzi hanno purtroppo tentato inutili soluzioni alternative e solo perché temevano reazioni da parte dell’India». Quel che conta però è che alla fine «sia stato riconosciuto quanto sostenevamo fin dall’inizio, ovvero che i militari italiani erano in missioni di contrasto alla pirateria e che secondo le norme di diritto internazionale e delle convenzioni potevano essere soggetti soltanto alla giurisdizione italiana».
Rimane adesso da chiarire se sia giusto stabilire sin da ora la responsabilità dell’Italia a risarcire l’India per la perdita di vite umane: «Si tratta di una decisione che non condivido dal momento che rimane ancora da stabilire se i marò abbiano sparato o se l’incidente sia avvenuto in tutt’altra zona e con tutt’altra nave» obietta Terzi.
Le riserve ancora da sciogliere sono molte. L’ambasciatore non crede che qualcosa non abbia funzionato nelle regole di ingaggio: «L’uso delle forze militari a bordo di navi mercantili è stato abbandonato dal nostro Governo subito dopo l’incidente della Enrica Lexie. Da quel momento il contrasto alla pirateria è stato condotto direttamente dalle unità militari. Credo però che le regole di ingaggio fossero ben rodate e non avessero falle evidenti».
Per Terzi l’errore più grande è stato compiuto nella fase immediatamente successiva all’incidente: «La guardia costiera indiana contattò via radio l’Enrica Lexie chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata e, dopo aver ricevuto conferma dalla petroliera italiana, richiese alla stessa di attraccare al porto di Kochi. Uscire dalle acque internazionali per raggiungere il primo porto rivierasco, consegnandoci così alla giurisdizione locale, è stata una decisione esiziale. Appena ne venni informato, segnalai subito alla Difesa la mia netta contrarietà ma mi venne risposto che ormai la nave si trovava in acque indiane. Un episodio grave, dal momento che la catena di comando militare non avrebbe dovuto assolutamente prescindere dal parere del ministro degli Esteri, se non anche del presidente del Consiglio».
La responsabilità di quanto accaduto non è stata quindi dell’armatore ma del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) al quale spetta la competenza della gestione delle crisi complesse. «Nulla mi toglie dalla testa che l’autorizzazione a fare rotta verso le acque territoriali sia stata data dai più alti livelli politici» attacca Terzi. «Il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola non poteva non sapere, non gli sfuggiva niente. Se non avessimo fatto rotta verso Kochi non ci troveremmo ancora otto anni dopo in questa situazione».
«Quei giorni furono tesi e concitati» ricorda. «In un primo tempo tutto il Governo approvò la decisione di non rimandare in India i marò ma poi le pressioni indiane spinsero l’esecutivo a ribaltare le proprie decisioni». Da qui la decisione clamorosa di Terzi di dimettersi immediatamente dalla Farnesina, in aperto dissenso con quanto accaduto: «Non dimentichiamo che Latorre e Girone erano stati accusati di terrorismo e che la pena prevista in India per questo tipo di reato è quella di morte. Nonostante questo il Governo accettò di rimandar loro i nostri due militari senza avere in cambio alcuna sostanziale rassicurazione sulla non applicazione della pena capitale. La mia decisione è stata dettata insomma dal buon senso».
Il buon senso ha prevalso anche nella sentenza dell’Aja. «Il diritto internazionale viene riaffermato nel suo ruolo strategico proprio mentre altrove è ignorato se non calpestato» osserva Terzi, che cita a tal proposito la contesa sul Mar Cinese Meridionale, di cui Pechino rivendica il 90% delle acque. «Accogliendo il ricorso del Governo filippino, il Tribunale internazionale ha già affermato l’insussistenza delle basi legali per la Cina di rivendicare diritti e risorse sulle acque al di fuori di quelli definiti dalla Convenzione ONU. Pechino ha però fatto carta straccia del diritto internazionale, dichiarando nulla la decisione dell’Aja».
Nel rifiuto cinese Terzi vede la volontà prevaricatrice di un Paese che opera in dispregio a qualsiasi accordo internazionale: «La Cina – afferma – rappresenta una minaccia per la pace e sicurezza mondiale. Pechino non vuole soltanto imporre il verbo del PCC all’interno del Paese. Xi vuole imporlo al mondo, a cominciare dall’Europa».
L’ex ministro degli Esteri si dice preoccupato per il crescente espansionismo della Cina e per la strategia “dual use” con la quale mira a fondere dichiaratamente due dimensioni, quella civile e quella militare: «La storia è piena di esempi di navi civili e infrastrutture marittime impiegate per scopi strategici. La Cina lo sta già facendo nel Mar Cinese Meridionale. E grazie all’Italia sta ora replicando lo stesso schema nei mari Tirreno e Adriatico».
Terzi denuncia il disallineamento crescente di Roma dai ranghi europei: «La firma del Memorandum of Understanding con il presidente Xi Jinping è stata un errore. La Cina sta portando avanti la propria strategia di penetrazione commerciale e militare attraverso la Belt and Road Initiative e nel nostro Paese sta trovando terreno fertile per le proprie conquiste».
Il condizionamento cinese sull’Italia «riguarda anche le prime infrastrutture portuali avviate per la Via della Seta verso l’Europa, a Trieste e a Vado Ligure, e ora interessa anche l’area di Taranto». Secondo l’ex ministro, la Cina sta oggi insomma portando a termine ciò che non le riuscì di fare nel quindicesimo secolo, quando salpò con oltre 200 navi alla volta dei Paesi affacciati sull’Oceano Indiano, sul Mediterraneo e sul Golfo persico.
«Sarebbe bastato poco perché i cinesi colonizzassero anche il nostro Continente, cambiando il corso della storia. Non lo fecero ma nulla esclude che questo possa riaccadere. I Paesi membri dell’Unione europea devono muoversi unitariamente e assumere una posizione chiara. Ecco perché l’esito della vicenda dei marò è importante: dimostra che esiste un ordine giuridico internazionale che va sostenuto con grande convinzione in tutte le sedi multilaterali, pena il disastro prossimo venturo».