Arrivare a zero emissioni nel 2030? Fare assegnamento sulla possibilità che ciò accada non è meno sorprendente che riuscire a riempire d’acqua fino all’orlo un secchio bucato alla base.
Il modo in cui in queste settimane i protagonisti dello shipping stanno moltiplicando gli auspici favorevoli al raggiungimento dell’obiettivo fa pensare a un fuoco di sbarramento preventivo, a una specie di avvertimento sul fatto che nessuno può immaginare di traguardare il prossimo decennio senza avere chiaro in mente il risultato a cui si vuole arrivare.
Ma attorno ai tagli di C02 si sta addensando una nebbia politica che sta finendo con il confondere tempi e idee. Ne sa qualcosa la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) che si è posta un quesito apparentemente semplice.
L’International Chamber of Shipping e gruppi di recente formazione, come la Getting to Zero Coalition, ritengono che entro il 2030 si possa arrivare ad avere navi completamente eco-sostenibili. É un obiettivo percorribile?
La risposta dell’UNCTAD è contenuta in un dettagliato report elaborato sulla base dei dati forniti dalla consultancy firm Clarksons Research.
In un momento delicato come quello attuale, in cui tutto il comparto dello shipping si trova a doversi confrontare con la nuova regolamentazione dell’IMO, chiedersi quanto ci vorrà perché le navi più vecchie vengano sostituite con quelle di nuova generazione, possibilmente a prova di sulphur cap, non è un esercizio di semplice retorica.
Ed è ciò che ha fatto l’UNCTAD, ricavando dal triennio 2016/18 l’età media delle navi tolte dal mercato e stabilendo sulla base dei dati ottenuti quanto tempo ci vorrà prima che gli armatori decidano di sbarazzarsi della flotta attualmente operativa.
La Conferenza sottolinea come nel periodo di riferimento siano state mandate in pensione containership con una età media di 25 anni, petroliere e unità bulk con rispettivamente 25,1 e 27,8 anni di anzianità e traghetti con 38,4 anni sulle spalle.
Interessante la divisione per stazza lorda: nei tre anni di riferimento le navi di tonnellaggio maggiore (oltre 50000 GT) sono state smantellate a 23,7 anni di vita. Si tratta di un’età media molto inferiore a quella a cui è stato dismesso il naviglio di minore portata (29,3 anni per le navi tra i 5000 e i 49000 GT e 35,1 anni per quelle con tonnellaggio sotto i 5000 GT), segno del fatto che il settore sta vivendo una fase pronunciata di accelerazione del tasso di obsolescenza, particolarmente marcato per le unità di dimensione maggiore.
L’Unctad passa poi ad analizzare com’è attualmente distribuita l’età media della flotta mercantile sulla base delle varie tipologie merceologiche: la flotta portacontainer mondiale è costituita per il 16,28% del totale da unità che hanno più di 20 anni di vita. Si può dire che la maggioranza delle containership (il 31,32%) ha un’età media che va dai 10 ai 14 anni. E’ invece la flotta delle bulk carrier ad avere le unità più giovani (il 44% del totale ha tra i 5 e i 9 anni di anzianità, il 22,8% ha alle spalle non più di 4 anni di vita). Quanto alle petroliere: il 35,98% del totale della flotta circolante ha più di vent’anni. Mettendo insieme tutte le varie tipologie di navi (comprendendo quindi anche le unità general cargo), le navi con più di 20 anni di vita rappresentano il 41,9% del totale.
Sulla base dei dati analizzati, l’Unctad afferma che se dovessero essere mantenuti gli stessi pattern anche per gli anni successivi, è altamente probabile che entro il 2030 (inizio 2031) venga mandato in pensione il 43% delle attuali portacontainer e il 17% della flotta dry bulk, tanto per citare le principali tipologie di naviglio.
«I dati dimostrano quanto sia urgente oggi sviluppare nuove soluzioni tecnologiche, questo al fine di evitare che per i prossimi decenni le navi di nuova generazione destinate a sostituire quelle vecchie usino ancora il fuel tradizionale», avverte l’Unctad.
Insomma, il tema della sostenibilità ambientale provocherà, e sta sicuramente già provocando, un rapido invecchiamento della flotta in acqua, ridefinendone gli standard verso i nuovi paradigmi ambientali, ma non a velocità tali da lasciar ritenere di poter avere entro il 2030 navi a emissioni zero.
Qualcuno ne parla già come di una moon-shot ambition, di una chimera: forse sarà già tanto se si riusciranno ad avere risultati tangibili entro il 2050. L’International Maritime Organization sta lavorando a un piano preciso e puntuale nel tentativo di accelerare il processo di abbattimento dei fattori inquinanti: quanto concrete siano la possibilità che il target previsto venga centrato lo si vedrà soltanto nei prossimi anni.
Intanto, IMO2020 è già in vigore: l’implementazione della normativa sui liner avrà un impatto che la società di consulenza Drewry quantifica in 11 miliardi di dollari di extra costi per la sola industria di container. Gli operatori si troveranno in forte difficoltà e per mantenere i flussi di cassa ricorreranno alle solite tecniche fin qui utilizzate per limitare l’offerta di capacità, come l’introduzione del blank-sailing o il ritorno allo slow-steaming, che di fatto non è mai passato di moda: ridurre la velocità delle navi favorisce l’abbattimento dell’inquinamento e consente al contempo di risparmiare il carburante.
Secondo l’Organismo delle Nazioni Unite, la vera priorità sarà quella di rendere sempre più costose le emissioni di gas inquinanti, favorendo il ricorso a nuove tecnologie o a fuel alternativi. «Se sapremo rendere anti-economico l’inquinamento ambientale, incentivando l’uso di nuove tecnologie eco-sostenibili, sarà più facile vedere quanto prima le vecchie navi sostituite con quelle di nuova generazione», si legge nel report dell’Unctad.
Le incognite sul medio periodo rimangono comunque tutte: il percorso verso la neutralità climatica appare accidentato e pieno di insidie. Il 2030 difficilmente regalerà le soddisfazioni attese. Ritrovarsi fra dieci anni al punto di partenza, o quasi? E’ una probabilità che chi opera nel settore non può escludere del tutto.