Interventi

Sentenze e poteri regolatori

Nei porti non sventola la bandiera bianca

di Massimo Provinciali

Le recenti sentenze del TAR Toscana che, sostanzialmente con identica motivazione, hanno annullato il Piano attuativo di dettaglio del Piano regolatore portuale, adottato dal Presidente dell’AdSP, stanno avendo una risonanza a mio avviso sproporzionata rispetto alla reale entità del loro impatto.

Rinvio per le riflessioni principali a quanto già è stato scritto su questa stessa rivista, limitandomi a considerare che il fatto che il TAR si sia limitato a motivare “Il PRP è strumento autosufficiente in quanto la legge n.84 del 1994 non prevede altri strumenti di pianificazione”, merita una riflessione congiunta da parte di tutti i livelli di Governo del territorio coinvolti, perché ad uscirne sconfitta rischia di non essere solo l’AdSP, ma una visione finora condivisa di come il PRP si inserisce tra gli ordinari strumenti urbanistici. Quindi la decisione di un eventuale ricorso in appello al Consiglio di Stato dovrà essere ben ponderata e comune.

Mi interessa invece, in questa sede, dialogare con chi teme che da queste sentenze scaturisca un “liberi tutti… ognuno può fare quel che vuole”, in nome di una concorrenza che, se non regolata, all’interno del porto rischia di fare morti e feriti, soprattutto sulla pelle dei lavoratori.

Non credo che sia così e cercherò di spiegare sinteticamente perché.

Ricordo che la “religione” della concorrenza in alcuni momenti è stata così invadente che le bozze della “direttiva De Palacio”, imponevano due operatori per ciascuna categoria merceologica e se il mercato non li avesse prodotti, si sarebbe dovuto trasformare in imprenditore l’Ente di governo del porto, con buona pace dei princìpi di separazione tra amministrazione ed attività economica.

Fino alla riforma del 1994, a parte i pochi porti ove vigevano gli Enti portuali disciplinati ciascuno da una propria legge istitutiva, i porti erano in mano al Ministero della marina mercantile e al Ministero dei lavori pubblici. Il primo rilasciava le concessioni, anche attraverso le Capitanerie di porto, il secondo realizzava le infrastrutture portuali, tramite gli Uffici del Genio civile opere marittime.

La novità che ha giustificato la nascita delle autorità portuali fu che accanto a queste funzioni tecnico-amministrative era ormai necessario esercitare una funzione di regolazione del mercato delle operazioni portuali, liberalizzato a seguito della incompatibilità del nostro ordinamento portuale con la disciplina comunitaria, ma non pienamente libero, a causa della limitatezza dello spazio fisico disponibile. La funzione regolatoria è quindi quella che tipizza il ruolo, prima delle autorità portuali e ora delle AdSP.

Ricordo che ad un riuscitissimo convegno organizzato a Ravenna dal Prof. Zunarelli nel 2004 per fare il bilancio a dieci anni dalla riforma, io (allora Direttore generale dei porti al MIT), sottolineai proprio come questa era la funzione che stentava a decollare, evidentemente per le difficoltà intrinseche al sistema oppure perché la concorrenza è alternativamente da tutti auspicata e temuta, in quanto il problema non è la concorrenza ma il suo governo.

Orbene, la legge assegna alle autorità strumenti per l’esercizio di questa funzione che certo non svaniscono in conseguenza delle sentenze che stiamo commentando.

Intanto, il Piano regolatore portuale definisce gli spazi del porto in cui alcune attività si possono fare ed altre no e anzi, se, come dice il TAR Toscana, il PRP è autosufficiente, diventa ancor più vincolante. Ovviamente c’è il meccanismo della gerarchia delle funzioni, per cui alcune sono ammissibili in grado via via residuale ma, ad esempio, mai nessuno potrà fare traffico passeggeri in un’area destinata alle merci pericolose.

In secondo luogo, c’è il potere di determinazione del numero massimo di autorizzazioni rilasciabili e se tale funzione viene svolta con cognizione di causa, si può governare l’impatto dell’eccesso di concorrenza (ad esempio, si può determinare, studi alla mano, che per una determinata categoria merceologica due operatori sono sufficienti).

Poi c’è il cuore vero del tema, i piani d’impresa: la loro redazione, la loro credibilità, la loro verifica, la loro modificabilità… sono tutte tappe di un percorso in cui l’AdSP ha il potere/dovere di espletare ai massimi livelli la propria funzione regolatoria, prevenendo abusi di posizione dominante, concorrenza sleale attraverso dumping tariffari, violazioni delle regole del CCNL, ecc., avendo come stella polare la tutela e l’acquisizione dei traffici, vero interesse pubblico al cui perseguimento è preposta l’AdSP, come ha ribadito il TAR Toscana in una delle recenti sentenze che, su altre questioni, ha certificato la legittimità dell’azione dell’Ente.

Insomma, la cassetta degli attrezzi c’è, basta aprirla e saperli utilizzare, con intelligenza, con trasparenza, con livelli di condivisione adeguati (perché il dirigismo è male, ma il consociativismo è peggio), insomma, in una parola, con “autorevolezza”.

Chiedo scusa se, come mio solito, ho affrontato solo per spunti un tema che richiederebbe una discussione ben più diffusa ed argomentata, ma mi interessava testimoniare che “sul ponte (anzi… nei porti…) NON sventola bandiera bianca!”

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