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Banchine nuovamente agitate nei porti USA

Nemici delle macchine..

di Redazione

Il rischio di un nuovo sciopero nei porti americani della costa orientale si fa sempre più concreto. E, con esso, si affaccia nuovamente all’orizzonte lo spettro di una paralisi del commercio marittimo.

Dopo aver raggiunto, a ottobre di quest’anno, un accordo provvisorio su un sostanzioso aggiornamento dei salari, concordando di estendere il Contratto Nazionale dei Lavoratori sino al prossimo 15 gennaio, e demandando ad un ulteriore tavolo il compito di risolvere tutte le questioni in sospeso,  l’International Longshoremen’s Association (ILA) e la United States Maritime Alliance sono di nuovo sul piede di guerra.

Il pomo della discordia è in fondo sempre lo stesso ed è rappresentato dalle ripercussioni che i processi di automazione nei porti stanno avendo sul lavoro umano.

I lettori ricorderanno come fosse stato proprio la divergenza di vedute su questo tema ad aver spinto il sindacato a salire sulle barricate, sospendendo a giugno le trattative per il rinnovo del contratto e aprendo alla possibilità di uno sciopero che poi nei fatti si è realizzato, paralizzando le banchine per tre giorni, dal 3 al 6 ottobre.

Il casus belli, che aveva fatto saltare il banco, era stato ricondotto alla decisione di APM Terminals di introdurre in un proprio terminal del porto di Mobile, in Alabama, un sistema di cancelli automatizzati in grado di processare i camion senza l’impiego di manodopera.

L’ILA aveva definito l’Auto Gate System una chiara violazione del contratto in essere e aveva affermato che non avrebbe incontrato l’USMX se prima non fosse stato risolto in via definitiva il problema dell’automazione.

Oggi siamo tornati ai nastri di partenza. Certo, i lavoratori portuali hanno nel frattempo ottenuto un aumento salariare del 62% in sei anni, sospendendo tutte le azioni di protesta. Ma non hanno mai taciuto l’importanza della questione tecnologica, su cui purtroppo le posizioni rimangono assai distanti.

Non è un caso che, ieri, l’USMX abbia dichiarato di non essere stata in grado di compiere in questi giorni di trattative progressi significativi sul tema dell’automazione.

“Sfortunatamente – dichiara l’USMX – l’ILA insiste per un accordo che rischia di far tornare indietro di decenni i nostri porti, compromettendo di fatto la loro capacità di soddisfare le esigenze di approvigionamento del Paese”. Il datore di lavoro ha precisato che “non stiamo cercando di utilizzare la tecnologia come scusa per eliminare i posti di lavoro”, aggiungendo che “la portualità ha bisogno di una modernizzazione continua, necessaria ad un sistema portuale che vuole far crescere l’occupazione, mantenendo al contempo intatte, o addirittura migliorandole, le proprie capacità operative”.

D’altra parte, l’ILA precisa in un proprio comunicato stampa di non essere contraria alla modernizzazione tout court, specie se rende più efficienti i porti. “La nostra posizione è chiara – afferma il capo del sindacato, Harold Dagget –  ben vengano le tecnologie che migliorano la sicurezza e l’efficienza, ma a patto che l’essere umano rimanga al timone”.

“L’automazione, totale o parziale, erode i posti di lavoro e le funzioni lavorative storiche” aggiunge, sottolineando come nessuna macchina riesca oggi a superare la produttività di un lavoratore. “Nonostante ciò – fa osservare – i datori di lavoro e alcuni media perpetuano la falsa narrativa secondo cui l’ILA starebbe ostacolando il progresso tecnologico. Questo non potrebbe essere più lontano dalla verità”.

Dagget prende a titolo di esempio il porto di New Jersey per dimostrare quanto le competenze umane messe al servizio dello scalo portuale abbiano giovato alla sua operatività. “Abbiamo aumentato i movimenti giornalieri nei gate a quasi 10.000: un miglioramento notevole rispetto ai 1.500 movimenti che un tempo contrassegnavano una giornata impegnativa” fa osservare il sindacalista, sottolineando che “questo salto di produttività non si limita soltanto ai cancelli. Le nostre avanzate gru da nave a terra consentono ai nostri operatori di movimentare i container in modo molto più efficiente rispetto a dieci anni fa. Inoltre, grazie anche ai nuovi mezzi di movimentazione dei container all’interno dei piazzali, siamo oggi in grado di essere oggi ancora più efficienti. Confrontate questi risultati con quelli realizzati dai terminal automatizzati di tutto il mondo, che sono costantemente in ritardo in termini di produttività, e capirete che l’automazione non è la panacea di tutti i mali”.

Una cosa è certa. Il neo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dovrà indossare i panni del pompiere e del pontiere per scongiurare un nuovo sciopero dopo quello che per tre giorni ha bloccato i porti americani. Dovrà incontrare le litigiose parti in causa per tentare di scongiurare il crollo di un accordo traballante che oggi si regge soltanto sui risultati raggiunti in materia salariale.

Dagget lo ha detto chiaramente. Se non verrà trovato un accordo, i lavoratori potrebbero tornare ad incrociare le braccia già a partire dal 15 gennaio. “Intendiamoci: gli scioperi sono uno strumento di ultima istanza. Ma se messi all’angolo, non esiteremo a brandire quest’arma. Lo sciopero di ottobre ha dimostrato la nostra determinazione; sebbene i salari rappresentassero un grosso ostacolo, credevamo – e crediamo ancora oggi – che si possano fare ulteriori progressi al tavolo delle trattative” è la chiosa finale di Dagget, secondo il quale l’USMX vuole surrettiziamente far entrare dalla finestra dell’accordo la possibilità di difendere e promuovere la semi-automazione.

Va detto che l’attuale contratto di lavoro offre già oggi un certo potere all’ILA. E’ prevista infatti l’istituzione di un Technology Committee composto da 14 membri, sette per parte, cui delegare l’onere di verificare le reali ricadute che l’innovazione tecnologica sta avendo sui salari e sui livelli occupazionali. D’altra parte, il contratto già ora mette chiaramente al bando i terminal completamente automatizzati, impedendo l’uso nei porti di tecnologie autonome in grado di funzionare anche senza pilotaggio remoto.

Secondo Bloomberg, Dagget vuole ora fare un ulteriore paso in avanti, stabilendo nuove protezioni contro l’introduzione di macchinari telecomandati.

“I lavoratori americani dovrebbero essere in grado di negoziare salari migliori, soprattutto perché le compagnie di navigazione utilizzano per lo più navi battenti bandiera straniera”, aveva detto in campagna elettorale Trump, dimostrando in fondo di avere a cuore la causa dei lavoratori portuali.

Per alcuni osservatori, un nuovo sciopero potrebbe minacciare nuovamente le catene logistiche, già sotto forte pressione a causa della crisi nel Mar Rosso. Senza dimenticare che in Nord America i tre principali porti canadesi sono in sciopero da giorni ormai.  Alcuni dei volumi originariamente diretti verso Ottawa sono già stati portati in altri porti, come quello di Los Angeles e Long Beach, con nuove ricadute negative sulla tenuta del sistema trasportistico nazionale. I porti americani saranno in grado di reggere l’urto di un nuovo sciopero?

E che cosa farà Trump? Sosterrà la crociata di Dagget contro l’automazione o farà ricorso ai poteri federali per fermare sul nascere la minaccia di una nuova paralisi del commercio marittimo?

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