Le nuove normative europee sulle emissioni stanno rivoluzionando il settore dello shipping mondiale, imponendo rilevanti costi aggiuntivi alle compagnie di navigazione. Dai primi del 2025, l’introduzione del sistema ETS ha reso obbligatorio l’acquisto di quote di emissione, facendo aumentare notevolmente il prezzo del combustibile, soprattutto per le rotte all’interno dell’UE SECA.
Lo scambio di quote è certamente una soluzione dal punto di vista formale, andando nella direzione di un adeguamento alle normative ambientali. Si tratta di uno strumento finanziario nato per bilanciare le emissioni di CO2 attraverso l’investimento in quote di progetti ecologici. In pratica significa pagare per attività “verdi” che, nel tempo, ridurranno l’anidride carbonica, riducendo i danni causati dal biossido di carbonio prodotto dalle navi.
In questo senso, una forte spinta al ricorso ai carbon off-set (compensazione delle emissioni) è venuta dal mondo della finanza: vengono per la prima volta previsti nei “Poseidon Principles”, lanciati e sostenuti da Michael Parker (Chairman Citi’s Global Shipping, Logistics & Off-shore) nel 2019, e subito addottati da 45 banche “shipping” e da un selezionato gruppo di armatori e noleggiatori di grosso calibro. In ultima analisi, consentono accesso a risorse finanziarie, rese disponibili dagli istituti bancari, se questi principi vengono adottati.
Oggi rimane però da verificare il vero impatto ambientale, fine ultimo del processo iniziato nel 1997 e proseguito con la risoluzione MEPC.203(62), adottata il 15 luglio 2011, quando è stata prospettata la prima roadmap che avrebbe dovuto portare l’industria marittima al traguardo del Net-Zero entro il 2050.
L’off-set delle emissioni con quote di investimenti ecologici in relazione 1/1 di fatto non è migliorativo; equivale sostanzialmente a 0, ovvero diventa un rapporto statico e, di per sé peggiorativo: in sostanza, se io azienda compro soltanto il minimo necessario per pareggiare i conti con il quadro delle mie emissioni non riducibili, di fatto non do un contributo reale all’abbattimento delle stesse a livello globale, occorrerebbe invece che l’armatore investisse di più del necessario per favorire il raggiungimento della neutralità carbonica.
Si tratta di un discorso più etico che economico: un rapporto 1/2, meglio 1/3, porterebbe un segno positivo e andrebbe veramente nella direzione giusta.
Quando, qualche anno fa, è nata la possibilità del carbon off-set, in tanti hanno fatto la prova su qualche unità navale, ma, a posteriori, sembrerebbe essersi trattata di una operazione di marketing più che di una effettiva svolta: è rimasta lì e non è stata estesa a tutta la flotta. Con la mente del trader datato, per poter recuperare una perdita bisogna riuscire a ottenere nuovo business almeno quanto il triplo della perdita stessa, in questo modo andando quasi in pari.
L’aumento generale del costo del bunker, oltre all’obbligo di utilizzare carburanti a basso contenuto di zolfo e alla prossima entrata in vigore del regolamento FuelEU Maritime, che ha come target la riduzione del 2% delle emissioni di CO2, sta obbligando le società di navigazione a studiare nuove strategie operative per adeguarsi entro i tempi previsti.
Le società dovranno affrontare sfide come:
– Aumento dei costi operativi: L’aumento del costo del bunker e l’obbligo di rifornirsi di carburanti più costosi ridurranno drasticamente i margini di profitto.
– Ottimizzazione delle rotte: le compagnie dovranno rivedere le rotte marittime e ottimizzare i consumi, col fine di ridurre le emissioni e contenere i costi,
– Investimenti in nuove tecnologie: E’ diventato imperativo investire in nuove tecnologie e infrastrutture per ridurre le emissioni e avere macchine predisposte all’utilizzazione di carburanti alternativi.
– Implementazione delle normative: Le compagnie dovranno garantire la conformità alle nuove normative e affrontare complesse procedure burocratiche per riuscire a rientrare nei parametri stabiliti. Va detto che le normative non sono mai definitive ma vengono di volta in volta adeguate, con correzioni e aggiustamenti, in un processo di affinamento continuo; da una parte questo tende a rendere più sicuro il progresso eco-friendly dell’industria marittima; dall’altra implica un onere non indifferente da parte delle società che devono continuamente aggiustare le procedure interne al fine della compliance con le modifiche.
In breve, per far fronte a queste sfide, le compagnie di navigazione dovranno:
- Diversificare le fonti di approvvigionamento: esplorare nuove fonti di carburante, come i biocarburanti o i carburanti sintetici. In realtà, questa non è una novità ma sembra che non si sia ancora trovata l’alternativa più efficace per arrivare a abbandonare definitivamente i combustibili fosssili tradizionali. La svolta energetica della nuova presidenza americana non favorirà certo l’adozione di una linea verde con la sua promessa di inondare il mondo di crudo “made in America”.
- Investire in tecnologie innovative: adottare soluzioni tecnologiche per migliorare l’efficienza energetica delle navi. Anche in questo caso non passa giorno che non appaiano nuove proposte; il miglioramento è continuo ma, ci si chiede, a quale costo? Domanda non da poco per un industry storicamente sensibile ai 50 centesimi di risparmio.
- Collaborare con i fornitori: stabilire partnership con fornitori di carburanti e servizi per ottenere condizioni contrattuali vantaggiose. Soprattutto con l’introduzione di nuovi prodotti, la domanda spot si ridurrà notevolmente proprio per la sua natura di risposta a una necessità immediata (devo fare bunker), in favore della vendita contrattuale a garanzia di qualità e disponibilità del prodotto (bunker in questo e quel porto, dove la fornitura è certa, ma non in quell’altro, magari non in sicurezza e senza possibilità di rifonimento).
- Adattare i modelli di business: rivedere i modelli di business per integrare i nuovi costi e le nuove opportunità.
In conclusione, le nuove normative europee stanno avendo un profondo impatto sul settore marittimo. Le compagnie di navigazione che sapranno adattarsi a scenari sempre nuovi e investire in soluzioni sostenibili, potranno cogliere nuove opportunità e rafforzare la propria competitività.
Per quanto riguarda il bunker, mentre il business è ancora più concentrato nelle mani dei grandi trader, è verosimile che proprio la necessità di rimanere al passo coi tempi, porti a dare una nuova spinta al lavoro del broker, con la sua conoscenza dei mercati globali e di quelli specifici di certe aree particolari, che propone alternative valide, non solo dal punto di vista economico ma da quello logistico e della sicurezza.
Analogamente, il ruolo del consulente, che si fa carico di tenere aggiornata l’agenda delle nuove normative, avrà un peso nuovo: non servirà solo a chiarire inghippi e a dipanare matasse ma offrirà agli armatori la possibilità di effettuare scelte informate, alleggerendo il carico di “avvisi ai naviganti” dei desk operativi e di rimando di quelli commerciali, per lasciarli liberi di lavorare con la minor pressione del dover, in un certo modo, “essere sempre al corrente”.