Il rilancio dei porti italiani verso i mercati internazionali? Passa da una generale revisione dell’attuale modello di governance delle Autorità Portuali e dalla modifica delle norme che disciplinano l’esercizio dell’attività economica.
Per il professore di diritto internazionale ed europeo all’Università di Udine, Maurizio Maresca, è questa, in sintesi, la rotta impressa ai nostri porti dagli accordi siglati a Roma tra il premier italiano Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping.
«I colloqui con Pechino possono di fatto diventare l’occasione per far fare ai nostri scali portuali, o meglio, a quelli che si riveleranno più intraprendenti, un salto in avanti sul terreno della competizione con il sistema dei porti del Northern Range».
Sposare la Via della Seta significa andare verso «Port Authorities che, almeno nei casi dei porti corridoio, non siano semplici amministrazioni pubbliche, ma imprese vere e proprie guidate da manager che rispondano dei risultati ai propri azionisti e che sappiano contendere il mercato ai porti concorrenti, puntando su infrastrutture efficienti e su precise alleanze di traffico».
Maresca, che immagina anche possibili collaborazioni tra le ferrovie italiane e svizzere grazie alle quali costruire modelli di governance di corridoio al servizio dell’Europa, è convinto che gli attuali presidenti delle autorità di Sistema, «che vengono da esperienze scientifiche e professionali molto qualificate», condividano una linea di rinnovamento impostata sulla competizione piena tra i porti.
Ed è certo che anche i presidenti delle Regioni interessate (da quello della Regione Liguria, Giovanni Toti, al numero uno del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga) siano su questa linea.
Per il docente universitario si tratterebbe di una evoluzione naturale, già incardinata nel quadro delle trattative avviate con la Commissione Europea a seguito della decisione dell’UE di considerare la riscossione dei canoni concessori da parte delle Autorità Portuali come un’attività economica soggetta a imposizione fiscale: «Sarebbe poco maturo abbandonare questa strada, tanto più che il Ministero (penso specialmente al viceministro Rixi) e le stesse autorità portuali condividono una linea di rinnovamento che mette al centro i traffici e la crescita».
In concreto Maresca non esclude che le attuali Autorità Portuali possano diventare dei veri e propri «operatori di infrastrutture», da costituirsi nella forma di Spa a controllo pubblico (modello Anas o Rfi): «Le nuove AdSP non si limiterebbero a gestire il demanio portuale ma dovrebbero essere in grado di stringere alleanze con importanti operatori di traffico nazionali e internazionali in una logica di corridoio».
Ma chi sarebbero i soci di queste Società per azioni? «Il socio di controllo potrebbe essere Cassa depositi e prestiti; mentre se si privilegiasse la struttura dell’ente pubblico economico (come i vecchi enti porto) il proprietario potrebbe essere lo stesso Ministero».
L’esperto marittimista si interroga anche sul ruolo che nella partita potrebbero avere le Regioni e i Comuni: «Gli enti pubblici immobilizzano spesso risorse importanti nel trasporto pubblico locale, nella gestione dei rifiuti o persino nella produzione e distribuzione dell’energia, attività che tipicamente il nostro ordinamento impone di restituire al mercato; non vedo perché non dovrebbero investire risorse nell’organismo di gestione portuale, che – in molti casi – gestisce un bene, il porto, che è la principale risorsa della città».
Secondo Maresca i tempi sono ormai maturi: «Occorre riformare con serietà la legge n. 84 del 1994 e garantire finalmente, sulla base del diritto europeo, il principio del libero accesso al mercato».
L’obiettivo potrebbe essere raggiunto assegnando a un ente di regolazione, come ad esempio l’Autorità dei Regolamentazione dei Trasporti (ART), il potere di fissare condizioni precise per assicurare il buon funzionamento del sistema portuale, e sopprimendo espressamente tutte le norme che configurano barriere di accesso.