A distanza di quasi due anni dalla entrata in vigore, la riforma portuale Delrio appare incompiuta alla maggior degli operatori. Pur senza negarne gli aspetti positivi – in particolare l’attribuzione alle Autorità di sistema del coordinamento di tutti i soggetti pubblici e privati operanti nell’ambito portuale così come il ruolo affidato alla Dogana nell’ambito del cosiddetto sportello unico dei controlli – resta indubbio che questa ha finora mancato l’obiettivo della sburocratizzazione e della velocizzazione degli interventi nei porti per far fronte alla concorrenza internazionale.
La stessa riduzione del numero delle Autorità è un elemento positivo ma insufficiente: queste si limitano ad accorpare scali limitrofi quando occorrerebbe invece rivalutare il loro ambito di competenza, ragionando in termini di aree logistiche vaste e non solo portuali. La creazione di un’Autorità di sistema ligure o dell’Alto Tirreno (accompagnata beninteso da un adeguato sviluppo delle infrastrutture materiali e immateriali) andrebbe così a configurare un modello di offerta integrata e opportunamente coordinata con gli interporti retrostanti, capace di competere coi porti del Northern Range. Anche grazie al completamento del corridoio 5 Genova-Rotterdam, questi ultimi sono infatti i nostri veri competitor sul traffico dell’area produttiva più importante d’Europa, quella che dalla pianura padana passa per la Svizzera e arriva fino alla bassa Germania.
La riforma Delrio non ha poi minimamente inciso sulla logica di funzionamento delle Autorità, che a tutt’oggi rimangono pachidermi lenti e goffi, frenati da norme e controlli che ne compromettono la capacità di movimento. L’introduzione del nuovo Codice degli appalti e il controllo di ordine superiore attribuito all’Anac hanno peraltro ulteriormente appesantito un sistema già ingessato, da sempre incapace sia di approvare in tempi ragionevoli i Piani Regolatori Portuali sia soprattutto di spendere le notevoli risorse a sua disposizione. A peggiorare la situazione sono poi i frequenti interventi della magistratura (sempre molto solerte nel monitorare eventuali comportamenti illeciti) e gli innumerevoli ricorsi al Tar, vero e proprio buco nero dove si infossano spesso per anni interventi necessari quanto urgenti. Si veda il caso dell’Autorità portuale di La Spezia, il cui piano di sviluppo è stato rallentato da anni di contenziosi presso Tar Liguria e Consiglio di Stato e i cui passati vertici sono stati raggiunti da diversi provvedimenti, più o meno fondati, di natura penale. In questo contesto il risultato complessivo – non solo a La Spezia ma in tutta Italia – non può quindi che essere quello dell’immobilismo diffuso di soggetti chiamati a competere in un mercato globale che richiede tempestività di interventi e visioni strategiche chiare e condivise.
C’è modo di superare questo stato di inerzia e realizzare i lodevoli intenti del Piano Nazionale della Logistica del 2015, che mirava a riportare l’Italia al centro dell’offerta logistica europea? Io penso di sì. Da molti anni gli operatori richiedono l’istituzione di un centro di coordinamento nazionale di tutto ciò che riguarda porti e mare. Una soluzione ottimale sarebbe quella di un Ministero del Mare o quantomeno di un sottosegretariato nell’ambito dell’attuale dicastero dei Trasporti che sappia assicurare un miglior funzionamento al tavolo nazionale di coordinamento delle AdSP, responsabile delle scelte strategiche nazionali. Quest’ultimo non deve costituire un’ulteriore strato burocratico ma al contrario uno strumento di indirizzo che scongiuri dannose sovrapposizioni e concentri gli investimenti nelle aree portuali a maggiore produttività, senza scambiare gli investimenti per ammortizzatori sociali (il riferimento a Taranto è intenzionale).
S’impone insomma la necessità di un nuovo modello istituzionale delle AdSP, che assicuri efficacia ed efficienza al sistema. In questo senso mi sembra piuttosto interessante l’ipotesi di una loro trasformazione in spa, come autorevolmente proposto negli ultimi tempi dal governatore della Liguria Giovanni Toti. Allo stesso tempo è necessario riqualificare professionalmente gli attuali comitati di gestione, trasformandoli in veri e propri board ricchi di competenze in ambito manageriale, logistico e portuale. Ma per far questo occorre superare l’attuale schema che di fatto riserva la presenza nei board a funzionari pubblici, spesso provenienti da altri settori o da realtà differenti, privando la conduzione dei nostri porti delle necessarie competenze ed esperienze manageriali maturate nel settore privato.