I dazi esistono da secoli e continueranno a esistere. Possono essere messi con astuzia e funzionare con ottusità. Per un ripasso suggerisco l’esilarante scena dei “due fiorini” nel film di e con Benigni e Troisi Non ci resta che piangere: passi da qui con della merce e devi pagare, ripassi e ripaghi. L’Unione europea ne ha messi diversi. Ma non tutti i dazi sono uguali. Come non tutte le tasse, del resto. Si tratta di stabilire cosa stai facendo pagare, perché e a carico di chi. Noi (europei) mettiamo il dazio su produzioni cinesi di acciaio, gli americani vogliono metterli sulle produzioni di acciaio europeo. È la stessa cosa? Manco per sogno.
Omettiamo, per comodità, il tema della qualità: se per produrre una cosa che mi serve ho costi superiori a quelli di altri che la producono altrove, mi conviene importarla così lavoro meno e pago meno. Ma può capitare che i costi del concorrente siano inferiori perché (ripeto, omesso il tema della qualità) questi viene sovvenzionato dal suo Stato sotto forma di trasferimenti o di sgravi fiscali mirati. Ancora non basta, però, a rendere conveniente l’imposizione di un dazio: se i cittadini dell’altro Stato accettano d’essere tassati per diminuire il costo di quel che io consumo, in fondo sono affari loro. Sono loro che ci rimettono. Ma se quello Stato lo fa per danneggiare i miei produttori, spingendoli fuori mercato, mirando a una rendita oligopolistica se non addirittura monopolistica, allora mi conviene intervenire e correggere quel vantaggio artificiale. Oggi il prodotto aumenterà il suo prezzo finale, dovendo incorporare quello del dazio, ma avrò evitato di mettermi in una condizione di debolezza e ricattabilità. Nel tempo, insomma, ci guadagno. Se però il dazio lo metto solo per proteggere i miei produttori nazionali – i quali hanno costi di produzione più alti solo perché i loro processi produttivi sono meno evoluti ed efficienti – allora questo sarà niente altro che una tassa con la quale provo a conservare l’inefficienza. Un modo sicuro, insomma, per impoverirsi (come lo è anche svalutare per svuotare i magazzini e poi pagare di più quel che mi serve per riempirli nuovamente).
La prima cosa è quel che accade fra noi e la Cina, la seconda quel che è stata ventilata dall’amministrazione statunitense nei confronti delle produzioni europee. Con una ulteriore conseguenza: trattandosi di beni non destinati al consumo ma intermedi, necessari per la produzione di altri beni (frigoriferi, vetture, etc.), il dazio aumenterà i costi di produzione dei trasformatori, arrecando loro uno svantaggio competitivo. Nel mercato globale li renderà meno attrattivi, impoverendoli. Se protetti nel mercato domestico allora saranno altri a impoverirsi: i consumatori. I sovranisti, che pensano di risolvere tutto proclamando “Prima i miei!”, devono sperare che fra i propri non si diffonda troppo in fretta la consapevolezza di come va a finire, divenendo i primi a rimanerci fregati.
Come spesso (per non dire sempre) capita nella vita, non tutto è divisibile fra bene e male, bianco e nero. Si tratta di trovare i punti d’equilibrio. Mentre in Africa provano a dare vita a una vastissima area di libera circolazione di merci e persone aperta per strade, cielo e porti senza pagar dazio (sull’esempio di quanto noi abbiamo già fatto, nella consapevolezza che questo ha portato e porta ricchezza e sviluppo), fa un certo effetto vedere che chi è avanti s’interroga sulla convenienza di tornare velocemente indietro. Capita anche perché si pensa sia riagguantabile il mondo passato, mitizzato nel ricordo (quello nel quale siamo cresciuti era diviso e in guerra, con intere lande abbandonate alla dittatura e alla miseria, con centinaia di milioni morti di fame in più e già allora escludevamo fosse il migliore dei mondi possibili). Occhio, perché non è che tornando indietro si diventi più giovani, mentre è serio il rischio di invecchiare dovendo rifare tutti gli esami scolastici. Già miracolosamente passati nel secolo scorso.