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Focus

Sicurezza e formazione

Perché si muore ancora in porto

di Redazione Port News

In un Paese che si definisce civile non si può più morire di lavoro! Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase a commento di tragedie che negli ultimi anni hanno interessato i nostri porti con una frequenza a dir poco allarmante?

L’inabissamento del rimorchiatore a Bari, in cui hanno perso la vita cinque persone; la caduta mortale del trentatreenne Alessandro Zabeo, rimasto coinvolto in un incidente a bordo di una nave al porto di Venezia; la tragica fine di Pasquale Piras, morto finendo con il suo camion in mare, all’interno dell’area di cantiere lungo il braccio “est” del Porto Canale di Cagliari.

Sono solo alcune delle morti inaccettabili degli ultimi tempi ma l’elenco potrebbe essere ben più lungo se allargassimo lo sguardo al 2021. «Non possiamo che esprimere un profondo rammarico per una situazione di impotenza che da troppo tempo segna la realtà nella quale lavoriamo ma abbiamo il dovere di fare qualcosa di concreto per ridurre i problemi di sicurezza in ambito portuale».

Prende le mosse da qui la riflessione che il direttore generale di Assiterminal, Alessandro Ferrari, consegna a Port News. «Quando capitano episodi simili si tende spesso a dire che la soluzione sia quella di aumentare i controlli in porto. Dal mio punto di vista, si tratta di una posizione sbagliata: la vera sfida, invece, è quella di definire modelli organizzativi standardizzati che siano applicabili in qualsiasi layout portuale».

E’ anche per questo motivo che Assiterminal ha avviato, pochi giorni fa, una nuova iniziativa sulla sicurezza e sulla formazione (dopo il percorso che ha portato alla Biosafety Certification del RINA): «In questo momento storico, crediamo poco nella possibilità di un rapido e efficace adeguamento della norma madre della sicurezza, la 272 del 1999. Troppi i ministeri e i soggetti da coinvolgere per affrontare in modo serio il tema. Abbiamo pertanto deciso di lavorare dal basso, lanciando il progetto PortSafetyValues».

L’obiettivo è quello di sviluppare e promuovere processi e sistemi di gestione che possano far crescere sempre di più le aziende del comparto, creando al contempo un vero e proprio network nazionale di comportamenti e procedure che rendano il lavoro nei porti sempre più sicuro.

Per raggiungerlo, Assiterminal si è avvalsa della competenza di tre società di consulenza: SIGE, cui è stato dato il compito di lavorare sui modelli di gestione e sulla valutazione dei rischi. Scuola Nazionale Trasporti e Logistica (SNTL), cui demandare l’organizzazione delle attività formative. E Gesta, per le attività di consulenza organizzativa a favore, soprattutto, delle piccole realtà imprenditoriali «che hanno bisogno di una mano sulla verifica del grado di adeguatezza dei propri processi organizzativi».

Alessandro Ferrari ne è convinto: «Vogliamo portare i nostri iscritti a certificarsi sulla base di standard e parametri ben definiti. E’ l’unico vero modo che abbiamo per riuscire anche aumentare la sicurezza sui luoghi di lavoro».

L’Associazione condividerà già nei prossimi giorni con tutti gli associati un sondaggio da compilare: «Poche domande rivolte ai lavoratori, agli RSPP e ai datori di lavoro, per capire quale sia il sentiment generale sul grado di sicurezza percepita negli ambiti portuali di riferimento» spiega Ferrari, che aggiunge: «Contiamo di avere le risposte nell’arco di un mese. Ci serviranno per parametrare meglio i nostro raggio d’azione e per sviluppare nuove iniziative».

Contemporaneamente, Assiterminal intende muoversi su un altro fronte: «Vorremmo coinvolgere l’INAIL e/o il Ministero del Lavoro per aprire un tavolo sulla redazione delle linee guida in materia di valutazione dei rischi in ambito portuale. In assenza della revisione della 272, crediamo che questa iniziativa possa consentirci di stabilire sul tema principi comuni validi erga omnes» dice il dg dell’Associazione.

Che quello dell’uniformità dei processi organizzativi e gestionale in ambito portuale sia il traguardo da raggiungere, lo si comprende anche dalle parole di Stefano Mordeglia: «I controlli in porto sono necessari ma non sufficienti per elevare gli standard di sicurezza in ambito portuale» sottolinea il direttore di SIGE. «Purtroppo, in Italia si fanno i controlli solo dopo che si è verificato un incidente. I problemi di disfunzione o mancato rispetto delle norme in materia di sicurezza si verificano perché siamo soliti considerare la valutazione del rischio come un obbligo normativo e basta».

Mordeglia, che ha alle spalle 10 anni di attività lavorativa come responsabile sicurezza di PSA, sa bene quanto sia difficile rendere viva e partecipata la sicurezza nei porti: «Per decenni la sicurezza è stata interpretata come mero adempimento ad un obbligo di legge. Deve diventare, invece, un asset strategico dell’azienda. Noi, su questa sfida, ci siamo e crediamo di poter far, assieme agli altri partner, la differenza».

Ed è qui che entrano in gioco le tre società: «L’obiettivo è quello di migliorare gli standard di prevenzione degli infortuni e degli incidenti. La tutela dell’ambiente e la sicurezza devono essere definitivamente iscritte nel business plan di ogni terminal operator» prosegue Mordeglia, che sottolinea come le prestazioni economiche e operative di un’impresa portuale siano strettamente collegate alla sua capacità di organizzare i processi di valutazione e gestione dei rischi: «Non ho mai visto in vita mia un’azienda deficitaria dal punto di vista organizzativo portare a casa risultati economici degni di nota. Anzi. Dove manca una cultura della sicurezza, manca spesso e volentieri tutto il resto. Glielo dice uno che ha lavorato per anni in una realtà che, a processi organizzativi invariati, è riuscita a coordinare un importante progetto multisettoriale, portando il più importante terminal di destinazione finale a ridurre gli infortuni dell’84%, con una crescita dei volumi del 85%».

Per il direttore di SIGE, la sicurezza è un fatto etico, ancor prima che una professione: «Valutare e gestire i rischi al massimo livello è un imperativo. Occorre far lavorare in sinergia tutti i livelli aziendali affinché la sicurezza sia vissuta non come un mero adempimento, ma come un valore condiviso. Il focus va spostato da “sicurezza come adempimento” a “sicurezza come performance”. E mai dimenticare che il nostro compito è quello di portate tutti a casa a fine turno: là ci sono i nostri affetti, le nostre piccole gioie quotidiane».

Anche la formazione è un anello imprescindibile della catena: «Crediamo fermamente nel valore dell’iniziativa messa in campo da Assiterminal» dice la direttrice di SNTL, Federica Catani: «Operiamo da tempo nelle attività formative in ambito portuale e logistico e riteniamo che la cultura dell’organizzazione e della  sicurezza siano uno strumento fondamentale per incidere sui comportamenti e sui valori organizzativi a livello aziendale. La formazione non è solo un obbligo di legge, ma un’attività attraverso la quale alzare l’asticella della capacità dell’azienda di lavorare in sicurezza».

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