© Michela Canalis
Interviste

Colloquio con Alessandro Ferrari

Porti, «Al Paese serve un Ministero forte»

di Marco Casale

«Nel nostro Paese abbiamo la mania, quasi la perversa passione, di voler emanare norme senza applicare quelle che già ci sono». Sull’autoproduzione Alessandro Ferrari è tranchant.

«Leggendo le riflessioni, corrette, di Gaudenzio Parenti, non posso fare a meno di sottolineare come ad oggi non sia stato applicato sino in fondo il decreto ministeriale 585 del 1995» dice il direttore generale di Assiterminal.

È tutto scritto in quel testo, pubblicato dal Ministero delle Infrastrutture a un anno di distanza dalla pubblicazione della legge 84/94: «L’art.16, comma 4, lett.d, demandava al MIT il compito di regolamentare l’uso dell’autoproduzione. Se in Italia fosse stato rispettato il dettato della norma, oggi non staremmo a parlare di questo strumento e del pericolo che venga liberalizzato».

Per Ferrari, il pomo della discordia da cui ha origine il casus belli è l’art.199 bis del DL 34/2020, «che ha irrigidito il meccanismo dell’autoproduzione, rendendolo – secondo l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato – non concorrenziale».

Il dettato normativo, infatti, ha introdotto il comma 4 bis, che all’art. 16 consente alla nave di utilizzare, sotto determinate condizioni, il proprio personale di bordo per lo svolgimento delle operazioni portuali qualora queste non possano essere svolte dalle imprese art.16 o dagli artt.17.

«L’AGCM è intervenuta con una posizione critica nei confronti della novella normativa senza entrare nel merito della necessità di una deregulation selvaggia in ambito lavorativo» fa osservare Ferrari. «Le norme, insomma, ci sono. Ritorniamo allo spirito del DM 585, lavoriamo per renderlo maggiormente applicabile e per fare in modo che le AdSP e le Capitaneria svolgano correttamente le attività di vigilanza e controllo».

Altro aspetto da toccare è quello economico: «Parenti ha ragione a citare l’art.17, comma 13, che impone per lo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali il rispetto di un trattamento economico minimo inderogabile che non può essere inferiore a quanto previsto dal contratto collettivo portuale».

Il ragionamento è chiaro: «Qualunque tipo di contratto di lavoro marittimo non è minimamente equiparabile dal punto di vista normativo e retributivo a quello dei porti e l’autoproduzione non può essere usata dall’armatore come scusa per risparmiare sulle professionalità e sulla sicurezza».

Anche sull’art.18, comma 7 – che fa divieto ad un terminalista, già concessionario in porto, di chiedere un’altra concessione per esercitare lo stesso tipo di attività merceologica – la posizione del direttore dell’Associazione dei terminalisti italiani è chiara che più chiara non si può: «La disposizione normativa è oggi superata dai fatti. E non solo a Genova, dove pure c’è un’abbondante giurisprudenza sulla questione, ma anche negli altri porti italiani».

Ferrari invita semmai a guardare la situazione da una giusta altitudine, ad usare la helicopter view: «Dobbiamo sviluppare una riflessione su come rendere trasparenti le regole di accesso alle infrastrutture portuali, perché siano utilizzate in modo efficiente e perché le tariffe applicate siano eque. In poche parole, devono essere evitate storture a favore di un soggetto o di un altro».

L’alto dirigente chiede al Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili di utilizzare le leve strategiche attribuitegli dalla legge 84/94 in materia di compiti di indirizzo e coordinamento delle Autorità di Sistema Portuale: «Vorremmo che il MIMS fosse così autorevole da entrare di più in questi meccanismi. Non deve costituire una pregiudizio il fatto che l’AGCM e l’ART esprimano osservazioni o pareri su tali materie ma ognuno deve poter fare il proprio mestiere».

In un contesto iper-regolato, con troppi controllori in gioco, «occorre che il Dicastero levi la sua voce in modo autorevole: anche per questo motivo abbiamo chiesto al Ministro Giovannini il potenziamento della direzione generale porti, oggi composta da appena pochissime persone» dice Ferrari.

Il Tavolo del Mare? «Un simile strumento era già previsto dalla legge 84/94. Poco importa che abbia un nome diverso: l’importante è avviare con l’utenza portuale un confronto che sino ad oggi non c’è mai stato».

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