Gli scali portuali italiani vanno tassati nella misura in cui esercitino attività economica. Sul punto la Commissione UE avanza ormai come un treno: muovendosi sui binari del principio fondamentale della trasparenza dei conti pubblici e trascinandosi dietro i vagoni della giurisprudenza maturata sulle Port Authority di altri Paesi membri (Germania, Francia, Spagna e Belgio). Tutto il resto è irrilevante, appare anzi faziosa qualsiasi argomentazione in punta di diritto che miri a difendere la natura pubblica delle nostre Autorità Portuali.
Ai piani alti di Bruxelles un esito diverso della controversia non viene nemmeno preso in considerazione. Lo conferma a PortNews un autorevole esponente della DG Competition, che per ovvi motivi preferisce restare anonimo. «L’ordinamento europeo non attribuisce importanza alla forma giuridica delle Port Authority – spiega – e non è poi così raro trovare in Italia, come in Europa, enti pubblici che abbiano un regime di doppia contabilità».
Una nostra eventuale opposizione porterebbe soltanto a un allungamento dei tempi ma non risparmierebbe a Roma un sicuro verdetto sfavorevole: «La Commissione avvierà a novembre l’indagine formale a carico dell’Italia e in sei mesi potrebbe arrivare a formulare le proprie deduzioni, accertando formalmente se i porti nazionali abbiano fruito o no di aiuti di Stato illegittimi. A quel punto, nel caso in cui dovessero permanere le ragioni da cui è scaturita la controversia, il ricorso alla Corte Europea di Giustizia sarebbe inevitabile».
In un anno, al massimo in un anno e mezzo, si arriverebbe così alla sentenza definitiva. Sentenza che appare però scontata, se non altro perché la stessa Corte, pronunciandosi su casi analoghi (vedi la Francia), ha già dato ragione alla Commissione. A quel punto lo step successivo sarebbe quello dell’apertura della procedura di infrazione. A Bruxelles sperano di non dover arrivare a tanto. Confidano in un nostro atteggiamento più collaborativo, che superi un ostruzionismo fine a se stesso.
Per la Commissione non esistono infatti spazi di manovra. L’esenzione dal pagamento dell’Imposta sul reddito delle società (IRES) può essere ritenuta una forma di aiuto di Stato qualora sia riferita a redditi generati dalle attività economiche. A tal riguardo, è definibile come economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi in un determinato mercato. Un principio che vale anche per le concessioni portuali. Che un’entità eserciti una o più attività di competenza dello Stato o non economiche non è insomma condizione sufficiente perché non venga considerata alla stregua di un’impresa.
Non ci sono scappatoie e l’Italia farebbe meglio a muoversi nel solco tracciato da Francia e Spagna. Entrambe hanno a suo tempo aperto una lunga trattativa sulle technitality, definendo punto per punto cosa sia o meno un’ attività economica. Madrid, ad esempio, ha accettato di modificare il proprio sistema sulla base delle indicazioni della Commissione, chiedendo però che al contempo venisse approvato un piano di aiuti di Stato per i porti del sud, in diretta concorrenza con quelli nord-africani.
Roma può ancora giocare una propria partita per strappare a Bruxelles il miglior accordo possibile. L’unico punto su cui l’UE non è disposta a trattare è sulla trasparenza dei finanziamenti. Le istituzioni comunitarie non vogliono che i soldi statali vengano usati per coprire le inefficienze del pubblico. Da questo punto di vista, l’introduzione del regime di doppia contabilità avrebbe agli occhi della Commissione un merito fondamentale: costringerebbe le Autorità Portuali a valorizzare meglio i propri asset, permettendo allo Stato di avere finalmente un metro di valutazione oggettivo per distinguere le AdSP virtuose da quelle che sono rimaste indietro.
La verità è che nel grande gioco della geopolitica mondiale, i porti oggi sono sempre più contendibili e sempre più in competizione tra di loro. Sottrarsi alle regole della concorrenza è per l’UE non solo un errore ma una vera e propria aberrazione.
«Le cose stanno in questo modo ed è bene che la politica italiana se ne renda conto», conclude la nostra fonte all’interno della DG Competition. Porti avvisati, mezzo salvati.