«Più che di una nuova governance, le Autorità di Sistema Portuale hanno bisogno di evolversi, di ridefinire i propri spazi vitali. Se vogliamo affrontare le nuove sfide che il mondo ci pone, occorre che questi enti siano qualcosa di più che non semplici amministratori di condominio», parola di Zeno D’Agostino.
A Port News, il presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Orientale sviluppa una riflessione di ampio respiro sulla politica portuale del Paese e sulla necessità di una reale integrazione dei nostri porti nel contesto euro-mediterraneo.
Per D’Agostino si deve ragionare della possibilità di rafforzare il ruolo imprenditoriale delle Autorità Portuali e, perché no, anche del Governo centrale. Il presidente dell’Organizzazione dei Porti Europei (ESPO) ribadisce quanto già affermato nei giorni scorsi nel corso dell’Assemblea Nazionale di Alis: «Le Autorità Portuali dovrebbero ambire a diventare enti di gestione di porti anche al di fuori dei confini nazionali» afferma, riferendosi ad esempio a quanto sta facendo Grimaldi in Grecia, con l’acquisizione del 67% dell’Autorità Portuale di Igoumentiza e con l’offerta da 80 milioni di euro per l’acquisizione della maggioranza assoluta della Port Authority di Heraklion.
Un ruolo pesante, dunque, che secondo D’Agostino, potrebbe benissimo essere affidato anche alla futura Puertos del Estado italiana, l’ente spagnolo di diritto pubblico dipendente dal Ministerio de Fomento, dotato di personalità giuridica, di patrimonio proprio e di capacità operativa autonoma, al quale il vice ministro Rixi ha più volte dichiarato di volersi ispirare per il processo di riforma dell’ordinamento portuale italiano.
«Il futuro organismo centrale della politica portuale italiana potrebbe avere voce in capitolo sui ragionamenti strategico-nazionali e sulla definizione delle linee di investimento, dando ad esempio mandato alle Port Authority di acquisire partecipazioni strategiche in Grecia o in altre realtà europee o extra-europee» è la riflessione che D’Agostino consegna a Port News.
Mentre l’Italia sonnecchia, gli altri Paesi hanno già capito come muoversi. E da tempo anche. Gli esempi sono molteplici: si va dalla singaporena PSA all’emiratina Dubai Ports sino alle tedesca HHLA che, per altro, nello scalo portuale giuliano ha acquisito il 50,01% della Piattaforma Logistica di Trieste (Plt).
«Mi sembra un paradosso che soggetti stranieri di chiara origine pubblica possano investire in Italia e che noi non possiamo fare altrettanto. Oggi non abbiamo invece la reale capacità di incidere sulle direttrici commerciali e geopolitiche strategiche per i nostri traffici e questo è un peccato».
Per il presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Orientale l’Italia dei porti deve insomma avere il coraggio di sviluppare una politica di internazionalizzazione efficace a livello di sistema Paese, in grado di creare nuove sinergie con il privato ma anche con le Istituzioni sovranazionali, a cominciare dall’UE. Che, peraltro, si è recentemente dotata di una nuova strategia per promuovere connessioni intelligenti, pulite e sicure nei settori digitale, energetico e dei trasporti. Si tratta del Global Gateway, il primo piano europeo infrastrutturale globale per il quale sono stati mobilitati nel periodo 2021-2027 fino a 300 miliardi di euro di investimenti.
Per il n.1 di Espo, le caratteristiche stesse dell’iniziativa Global Gateway dimostrano, tuttavia, come l’Unione europea non voglia andare oltre una visione finalizzata al mero rafforzamento della cooperazione internazionale. Un modello ben diverso da quello della Belt and Road Initiative, «sviluppato dalla Cina sulla base di logiche geopolitiche e commerciali molto più aggressive». Altro elemento da non sottovalutare è che: «i progetti promossi in questi primi due anni di vita del Global Gateway sono stati suggeriti dalla World Bank, un soggetto slegato dalle esigenze reali dell’UE».
Cionondimeno, Il piano di investimento europeo rimane un’importante opportunità «che il nostro Paese potrebbe cogliere se disponesse di soggetti pubblici (le Port Autority o l’italiana Puertos del Estado) dotati di reale agibilità operativa e imprenditoriale».
I green corridor sono per D’Agostino un progetto che ben si presterebbe ad essere finanziato dal Global Gateway: «Stiamo parlando di rotte marittime tra due o più importanti hub portuali, su cui vengono impiegate navi a zero emissioni di carbonio e altri programmi di riduzione delle emissioni. Tali progetti, su cui i porti del Nord Europa stanno già investendo – grazie anche al sostegno dei grandi armatori – potrebbero favorire una reale integrazione logistica e infrastrutturale, congiungendo in un unico corridoio più paesi e porti, dotandoli delle infrastrutture necessarie per il rifornimento alle navi dei carburanti puliti».
Ma prima di sviluppare tale progettualità occorre capire dove voglia andare l’Europa e quali sono i Paesi e le aree con i quali dialogare. «Fatto questo primo passo si arriva poi a parlare della componente logistica. Purtroppo, oggi l’errore più comune che anche in Italia si tende a fare è quello di non avere una visione di insieme sulle grandi questioni geopolitiche e industriali» ammette D’Agostino. «A Trieste sono stato criticato fortemente per aver cercato di sviluppare alcune collaborazioni con la Cina. Il problema viene quindi analizzato a valle e non alla fonte: nessuno si domanda perché da tempo ci sia un mondo industriale che trasferisce le proprie produzioni nel territorio cinese. Se nessuno andasse a produrre in Cina, non ci sarebbe più alcun interesse a creare dei corridoi logistici e intermodali efficaci tra l’Asia e l’Europa».
Certo, ora la situazione sta cambiando: si parla sempre più spesso di nearshoring e reshoring e in parte questi cambiamenti sono oggi visibili: «L’analisi delle dinamiche del trasporto globale ci fornisce un quadro caratterizzato dal crollo della domanda di trasporto via mare lungo quasi tutte le principali rotte marittime. Mi chiedo se ciò sia dovuto non soltanto a ragioni di carattere macro-economico ma anche al cambiamento degli assetti delle catene di approvigionamento» si domanda il presidente dell’AdSP di Trieste, sottolineando come gli USA e il Messico stiano ad esempio incentivando la rilocalizzazione delle attività produttive, con ricadute pesanti sui traffici commerciali con la Cina.
Le catene di approvigionamento si stanno accorciando anche se non è dato sapere fino a che punto si stia affermando questa tendenza. «Di certo, non è possibile monitorare realmente questi fenomeni sulla base di un’analisi focalizzata soltanto sull’eventuale accorciamento o allungamento della distanza media per teu percorsa dalle spedizioni marittime» puntualizza D’Agostino. «In un contesto trasportistico caratterizzato da un forte missmatching tra domanda e offerta, le compagnie di navigazione tendono a perseguire nuove economie di scala attraverso il transhipment. E’ quindi normale che si riduca la distanza media percorsa da un container se il viaggio Shanghai – Trieste viene sostituito con il viaggio Shanghai – Gioia Tauro e Gioia Tauro – Trieste».
Non è quindi detto che l’accorciamento delle distanze sia dovuto alla rilocalizzazione delle attività produttive: «Il fenomeno andrebbe analizzato in un contesto commerciale economico normale, caratterizzato da un sostanziale equilibrio tra domanda e offerta» conclude il presidente dell’Organizzazione dei porti europei.