«I porti? Per questo Governo non sono una priorità da portare al tavolo dei negoziati comunitari». Lo afferma il direttore generale di Confetra, Ivano Russo, commentando una recente sentenza con la quale il Tribunale di Genova, rifacendosi all’orientamento ormai consolidato della Commissione UE, ha riconosciuto le Autorità Portuali come imprese a tutte gli effetti.
«La sentenza è più complessa di quanto non appaia sulla stampa, ma certo non aiuta il sistema Paese a sviluppare una politica portuale degna di questo nome. Le Port Authority svolgono attività di regolazione e sono da codice Istat esse stesse una amministrazione centrale dello Stato. Affermare il contrario è un errore».
D’altronde, «se seguissimo la logica dell’Unione Europa, anche l’affidamento tramite gara da parte del MIT di un servizio di fornitura di materiale da cancelleria potrebbe configurarsi come attività economica. E allora che facciamo? Dobbiamo considerare il Ministero come una impresa?».
In fondo, la questione è sempre la stessa e riguarda la credibilità e la capacità negoziale che il nostro Paese può far valere presso i tavoli istituzionali: «L’Europa – spiega Russo – è un concetto astratto, esistono invece la Commissione, il Consiglio e il Parlamento Europeo: sono gli organi responsabili del processo decisionale comunitario, quelli che devono trovare la quadra sulle questioni principali tramite il meccanismo del trilogo. È in tali consessi che l’Italia deve far valere la propria forza».
Purtroppo, la verità è che «a Bruxelles il nostro Paese sembra aver perso la capacità di fare squadra, di mettere la portualità e la logistica al centro di una strategia di tutela dell’interesse nazionale». È questo il punto centrale della riflessione che il DG della Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica consegna al cronista di Port News.
Russo cita non a caso le numerose battaglie comunitarie condotte negli scorsi anni dal Governo italiano: «Qualcuno si ricorderà della clausola sociale che, in tema di adozione del Regolamento sull’accesso ai servizi portuali, i paesi del Nord Europa volevano venisse inserita nelle gare di affidamento del servizio di rimorchio. Se fosse passata questa impostazione, in Italia avremmo avuto una paralisi dei servizi tecnico-nautici: sfido io infatti a trovare un rimorchiatore disposto a farsi carico dei lavoratori della società cessante. Su questo tema lavorammo tutti insieme per eliminare all’interno del Regolamento Porti la norma che disponeva l’obbligatorietà del trasferimento del personale».
L’attività di lobbying condotta ai livelli più alti consentì all’Italia di riuscire a spuntarla anche su un altro dossier, quello relativo agli investimenti pubblici nei porti e alla loro compatibilità con il mercato interno ai sensi dell’art. 107 del TFUE.
Stava infatti maturando a livello comunitario una tendenza restrittiva mirata ad escludere ogni differenza tra investimenti sui beni comuni, volti a migliorare l’accessibilità del porto (come i dragaggi, o le opere foranee) e quelli per infrastrutture business oriented: «I paesi nord-europei insistevano perché tutti i lavori di escavo fossero sottoposti ad autorizzazione preventiva in materia di Aiuti di Stato; noi eravamo chiaramente contrari, perché ciò avrebbe significato bloccare completamente i porti. La diversità di posizioni ha dato vita a un negoziato molto articolato, ma alla fine l’UE ha adottato appieno il nostro principio, adottando il Regolamento 1084 del 2017 e accettando che gli investimenti pubblici nei porti (entro la soglia dei 150 milioni di euro) venissero esonerati dall’obbligo di notifica preventiva».
Ecco due esempi calzanti di come andrebbero giocate le partite in Europa: «A livello comunitario non esistono verità tecniche assolute, ma battaglie politiche e negoziali da condurre e –possibilmente – vincere. E ciò vale anche per la querelle sulla natura delle Autorità Portuali e sull’eventuale tassazione delle loro attività».
Ma la sensazione che filtra da Confetra è che sulle questioni logistiche il Governo sia poco interessato a spendersi in maniera risoluta, avendo invece quale obiettivo prioritario il negoziato sui conti pubblici e il dossier immigrazione.
Non solo. Per Russo il Ministero competente sembra aver rinunciato ad assumere le leve di comando che la riforma Delrio gli ha assegnato: «A due anni e mezzo dalla sua entrata in vigore, quella riforma rimane oggi ampiamente incompiuta. Non è mai stata veramente applicata».
L’ex consiliori di Delrio pensa alla Conferenza Nazionale dei Presidenti delle AdSP («che è stata convocata soltanto una volta da quando Toninelli è al MIT»), e pensa anche al Tavolo di Partenariato della Risorsa Mare («che a Roma e sui territori avrebbe dovuto riunire tutti gli stakeholder del cluster portuale nazionale, ma che è rimasto sostanzialmente lettera morta»), così come non sono stati fatti passi in avanti sullo Sportello Unico Doganale e dei Controlli e sul tema della semplificazione degli interventi di dragaggio o di redazione del Piano Regolatore di Sistema Portuale.
Anche sulla effettiva capacità di spesa da parte delle amministrazioni ci sarebbe molto da dire: «Il nostro problema non è quello delle reperibilità delle risorse economiche. I soldi li abbiamo, ma non sappiamo spenderli: oggi per completare un’opera con un valore superiore ai 100 milioni di euro ci vogliono 17 anni. Non è possibile»)
Russo rivolge un appello a chi oggi comanda: «L’Italia è un’unica grande banchina fatta di 15 sistemi portuali. Siamo un porto nazione, non dobbiamo dimenticarlo. Se smettiamo di fare squadra, di essere una squadra, saremo condannati all’irrilevanza».