«Penso che sia giunta l’ora che qualcuno ci spieghi meglio come stiano le cose e che ci dica la verità». Sentito da Port News, Gaudenzio Parenti, consulente giuridico portuale ed esperto del settore, non nasconde la propria perplessità per il fatto che a ricorrere contro la Commissione siano state soltanto le AdSP e non lo Stato centrale.
Come era stato preannunciato, le Port Authority italiane, con il coordinamento di Assoporti, hanno depositato presso il Tribunale dell’Unione Europea un ricorso chiedendo l’annullamento della decisione della Commissione del 4 dicembre 2020, con la quale è stato imposto all’Italia di modificare il regime fiscale applicabile alle AdSP. Secondo la Commissione il loro mancato assoggettamento all’imposta sul reddito delle società rappresenterebbe un aiuto di Stato incompatibile con le norme vigenti.
«Ho sempre ritenuto la Decisione della Commissione EU nel procedimento SA. 38399 assolutamente criticabile sotto molteplici profili – afferma Parenti – le AdSP sono, ex lege, gli Enti pubblico non economici a rilevanza nazionale che appartengono funzionalmente e organicamente allo Stato centrale. Questa questione, secondo il mio modesto parere, va al di là dell’ambito prettamente portuale, poiché mette in dubbio il nostro modello di organizzazione dello Stato quando invece, secondo le normative europee, la stessa deve rimanere appannaggio dell’autonomia degli stessi Stati membri».
Bene hanno fatto, dunque, le Autorità Portuali a fare causa all’UE: «Ritengo il ricorso un capolavoro giuridico, che ribatte puntualmente ed esaurientemente le errate conclusioni della Decisione. Il pool legale composto da Francesco Munari, Stefano Zunarelli, Gian Michele Roberti e Isabella Perego, è quanto di meglio le nostre AdSP potessero mettere in campo. Continuo però a ritenere un gravissimo errore il fatto che lo Stato non abbia fatto causa a Bruxelle nei termini previsti, entro il 15 febbraio».
Per Parenti si tratta di una scelta che palesa «una grave discrasia e soprattutto lascia sottintendere che una certa politica istituzionale e burocratica, al di là delle frasi di circostanza e di facciata, abbia sempre avallato la Commissione per addivenire ad uno stravolgimento dell’attuale assetto giuridico portuale italiano».
L’esperto ne è convinto: «Nessuno mi toglie dalla testa l’idea che più di qualcuno voglia utilizzare il mancato ricorso dello Stato come una clava da utilizzare in futuro nel caso in cui l’impugnazione delle AdSP dovesse essere respinta dal Giudice. L’obiettivo? Stravolgere se non addirittura abrogare la legge 28 gennaio 1994, n. 84. Approfittare di questo procedimento per giustificare l’eventuale futura trasformazione delle Autorità di Sistema Portuale, da Ente Pubblico non economico a Società per Azioni a preminente partecipazione pubblica. Il tutto prendendo come scusa una non meglio specificata e precisata efficienza amministrativo-gestionale».
Una possibile trasformazione delle AdSP declinata sulla falsa riga del modello di governance del sistema aeroportuale italiano per Parenti sarebbe il peggiore dei mali: «Una riforma simile stravolgerebbe completamente il mercato del lavoro portuale poiché vi sarebbero difficoltà amministrativo-giuridiche nel procedere alle autorizzazioni ex art 16, 17 e 18 l.n. 84/94».
Non solo: «Ci sarebbero difficoltà giuridiche nella costituzione delle stesse Spa, poiché, ricordiamolo, il demanio è inconferibile e inalienabile per natura ai sensi dell’art 823 del Codice Civile. Quindi si dovrebbe attuare un’ultronea riforma dei beni pubblici demaniali che potrebbe aprire a una inquietante privatizzazione degli stessi».
Al consulente giuridico la trasformazione degli enti di governo dei porti in Società per Azioni stride come il gesso sulla lavagna: «Che cosa accadrebbe se andassero in deficit? Il conferimento di denaro da parte degli azionisti pubblici verrebbe configurato come Aiuto di Stato incompatibile ai sensi dell’art.107 TFUE. Il ricorso ai capitali privati diventerebbe allora una strada obbligata, con il rischio che i nostri porti, i nostro asset strategici nazionali più importanti finiscano nelle mani di fondi speculativi o società armatoriali. Il tutto a nocumento della tutela del lavoro nei porti».
Può sembrare uno scenario abbastanza inquietante e futuribile «ma chi vive quotidianamente la portualità comincia seriamente ad avere timori sul futuro. Un futuro incerto in cui lo Stato potrebbe risultare assente in nome di una degenerata forma di concorrenza che si potrebbe concretizzare in una deregolamentazione selvaggia ad appannaggio di una grave e pericolosa liberalizzazione selvaggia».
Secondo Parenti non resta altro da fare che confidare nel successo dell’iniziativa portata avanti da Assoporti e dalle AdSP: «Dobbiamo avere fiducia e sperare nello straordinario ricorso redatto magistralmente dal nostro pool legale, confidando innanzitutto che i giudici europei vogliano concedere l’eventuale sospensiva delle disposizioni della Decisione altrimenti a breve andremo incontro a sanzioni che peseranno notevolmente sui bilanci delle AdSP con effetti dell’interesse generale di tutti i sistemi portuali nazionali e magari a beneficio di chi vorrebbe prenderla come scusa per aprire ad un stravolgimento della Legge speciale portuale».
In gioco non c’è solo l’attuale assetto giuridico portuale ma il ruolo stesso dello Stato: «In questo momento di crisi pandemica che stiamo vivendo, risulta quanto mai necessario un Governo che sappia regolare i processi dei mercati in maniera keynesiana, con lungimiranza ed equità. Solo uno Stato forte può scongiurare qualsiasi degenerata e deregolamentata forma di concorrenza ed evitare che i danni vengano pagati dai lavoratori a spese della collettività».