Nel 2023 le 50 principali banche internazionali attive nel ramo dello shipping hanno leggermente ridotto la propria esposizione nei confronti del settore navale greco. A certificarlo è l’ultimo repot di Petrofin Bank Research, che evidenzia per gli istituti di credito un declino del 2% della percentuale totale dei finanziamenti navali a favore delle compagnie di navigazione del Paese. I prestiti bancari sono infatti passati dai 51,9 miliardi del 2022 ai 50,89 miliardi di dollari dell’anno scorso.
L’indice Petrofin riferito alla finanza navale greca è sceso nel 2023 a quota 308 punti, dopo aver toccato il picco dei 443 punti nel 2008. Negli ultimi 14 anni il portafoglio dei prestiti bancari alle società armatoriali elleniche si è ridotto del 23%.
Ciò è dovuto, secondo la società di ricerca, a una rivalutazione della strategia di investimento dei principali istituti bancari, soprattutto europei, che hanno preferito puntare su altri business nel corso degli anni.
Nella top list delle 50 prime banche al mondo attive nello shipping ellenico, al primo posto si trova UBS (Credit Suisse). L’istituto di credito controlla una esposizione di 5,1 miliardi di dollari, il 10% del totale.
Al secondo, terzo, quarto e quinto posto si trovano invece quattro banche greche, la Eurobank, la Pireus Bank, l’Alpha Bank e la National Bank of Greece, con una esposizione rispettiva di 4, 3,7, 3,695 e 3,329 miliardi di dollari. Assieme cumulano un market share di quasi il 30%.
A proposito di banche greche, lo studio fa notare come a livello complessivo queste siano state le uniche ad aver aumentato nell’anno di riferimento i propri prestiti al settore navale nazionale. Complessivamente hanno accumulato nell’anno preso in esame una esposizione di 15 miliardi, il 12% in più rispetto ai valori del 2022.
In calo invece i prestiti erogati sia delle banche internazionali non presenti fisicamente in Grecia, passati dai 25,8 miliardi del 2022 ai 23,3 miliardi di dollari del 2023, che da quelle che al contrario hanno aperto una o più filiali nel Paese. I loro prestiti al settore navale greco si sono ridotti del 2,2% in un anno, da 12,03 a 11,76 mld di dollari.
Petrofin evidenzia inoltre come l’esposizione di queste ultime verso il settore navale ellenico sia diminuita del 69,7% rispetto ai valori di picco del 2008, quando i finanziamenti navali in Grecia avevano toccato i 40 mld di dollari. Le ragioni di questo declino possono essere molteplici, ma la società di ricerca non esclude che le difficoltà economiche di Atene tra il 2010 e il 2020 abbiano avuto un impatto significativo sulle strategie di investimento di questi istituti di credito.
L’analisi di Petrofin ha aperto in Italia un dibattito sulla salute e sul futuro del settore navale marittimo nazionale.
Per il vice presidente di Conftrasporto, Gian Enzo Duci, risulta essere significativo che nel contesto di complessiva contrazione degli investimenti nel settore navale ellenico, le banche greche abbiano comunque deciso di aumentare la propria esposizione: “In Grecia gli armatori sanno scegliere le navi (quali, quando comprarle e quando venderle) e le banche sanno valutare e scegliere armatori e navi. Un Paese può essere definito un vero cluster marittimo solo se vi esiste anche un settore finanziario dedicato e competente. L’Italia, in questo senso, pur con rare eccezioni, è da considerarsi non pervenuta” afferma.
Per l’ex presidente di Fise-Uniport, Federico Barbera, la debolezza dell’Italia nel settore navale deriva non soltanto dalla mancanza di una forte finanza attiva nel settore ma anche dall’assenza di una vera politica portuale, da lui considerata un vero pilastro per definire un cluster marittimo. “Stato e operatori illuminati, supportati da una finanza che li supporta, devono , a mio parere, essere il modello di governance delle strutture strategiche di un paese e garantire stabilità al sistema. Con i giusti e doverosi guadagni equamente ripartiti” ammette, sostenendo come il controllo delle strutture strategiche nazionali debba comunque rimanere pubblico”.
Di tutt’altro avviso Fabrizio Vettosi, secondo il quale un processo “selettivo” e cauto di privatizzazione della governance e dell’assetto portuale potrebbe costituire un’enorme chance per valorizzare l’asset pubblico. Riferendosi all’operazione di privatizzazione del porto del Pireo, ceduto interamente a Cosco, Vettosi afferma che “si tratta di un modello che non saremo mai in grado di replicare in quanto è ormai chiaro che la volontà è asservire sempre di più le stesse AdSP alle esigenze elettorali. Meglio una privatizzazione ben fatta che lo spreco delle risorse pubbliche che nel lungo tempo risulta dannosa anche per le future generazione”.