Interventi

Proposte per provare a cambiare il Paese

Recovery Fund, istruzioni per l’uso

di Maurizio Maresca

Professore ordinario di Diritto dell’Unione europea e di Diritto internazionale all’Università di Udine

Sul tavolo del Comitato Tecnico di Valutazione operativo presso la Presidenza del Consiglio e presieduto dal Ministro Enzo Amendola stanno pervenendo una serie di progetti da sottoporre alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, ovvero il piano di ripresa che l’UE ha messo in piedi per far fronte all’emergenza Covid e che porterà in dote al nostro Paese 209 miliardi di euro, di cui 82 di sussidi.

Una volta compiuta questa scrematura, che ha impegnato il Dipartimento delle politiche europee (Dpue) per l’intero mese di agosto, il Governo avrà l’onere di compiere le scelte definitive, di politica industriale e giuridiche.

Ovviamente sarà preziosa la relazione costante, seppure informale, con la Commissione europea: il Presidente Giuseppe Conte e il Commissario Paolo Gentiloni saranno decisivi sia sui progetti da sottoporre sia sulle riforme da attuare.

Centrale potrebbe essere poi il ruolo delle Regioni: non può escludersi, infatti, che in sede di Conferenza Stato Regioni richieste specifiche vengano presentate. Peccato per la concomitanza con la campagna elettorale, un periodo in cui le relazioni fra i partiti si inaspriscono e che non favorisce certo la necessaria collaborazione inter istituzionale.

Ovviamente un ruolo incisivo è stato svolto dalle amministrazioni periferiche dello Stato (ad esempio le autorità portuali) e dalle imprese pubbliche, chiamate a formulare le loro proposte ai fini della costruzione del DEF infrastrutture che deve essere redatto a breve.  Un contributo particolare è offerto dal Comune di Genova, che partecipa attivamente ai lavori del Dpue sulla base di una intesa fra il Presidente del Consiglio, il Ministro delle politiche europee  ed il Sindaco di Genova.

200 miliardi di euro sono tanti e ci vuole un certo esercizio di fantasia per capire come spenderli, soprattutto se si pensa che la sanità, come noto, avrà una via separata. La vera sfida sarà però quella di non sprecarli inutilmente in una marea di progetti che a detta di Marcello Messori e Marco Buti, estensori di uno studio pubblicato nei giorni scorsi, rischiano di essere già vecchi, se non inadatti a promuovere crescita, competitività e innovazione tecnologica.

534: tanti sono, sino ad oggi, i progetti raccolti dal Ministro Amendola e nei prossimi 15 giorni il numero potrebbe raddoppiare. Facile, dunque, correre il rischio di non cogliere appieno le opportunità di questo importante strumento.  Forse non si sono ancora percepiti la direzione e la forza dei cambiamenti impressa dalla Commissione Europea in funzione di una politica industriale e dei trasporti comune, strategia che impone il ripensamento di Istituti divenuti tradizionali anche nel diritto interno.

In questo contesto la prima carta che l’Italia deve giocare per risultare credibile e lungimirante è quella della modernizzazione del sistema Paese. Per rispondere positivamente alla sfida del NG-EU occorre  allora selezionare riforme davvero funzionali alla crescita e competitività dell’Europa (che sta molto cambiando accettando la sfida americana e del Far East ) e non già pensare a redistribuire semplicemente le risorse fra i territori.

Se pensiamo alle infrastrutture, ritengo che alcune opere debbano essere realizzate urgentemente: Trieste ha ad esempio bisogno di un nuovo terminal per alimentare il corridoio Baltico-Adriatico mentre la nuova diga permetterebbe a Genova di ampliare l’offerta terminalistica del principale porto italiano. Altri interventi che, a ragione, si possono ritenere prioritari sono la Ferrovia mediterranea e adriatica, per collegare l’Europa con gli hub di Taranto e Gioia Tauro, e il Ponte dello Stretto.

Ma gli interventi davvero necessari sono piuttosto di “software”: e cioè riforme che consentano a quei progetti di funzionare.

Occorrerebbe innanzitutto una politica dei trasporti che, coerentemente con l’evoluzione europea, sappia da una parte promuovere  “campioni nazionali”  in grado di reggere la sfida internazionale e, dall’altra, assoggettare a “controllo”  gli investimenti diretti degli Stati stranieri (FDIs). Questo ovviamente senza ignorare le carenze  di regolazione che il comparto delle infrastrutture evidenzia.

Nell’ambito di tale strategia è necessario il pieno coordinamento dei porti nazionali, voluto con il d.lgs. 169/2016. 35 porti ed altrettanti  retroporti  non messi a sistema non solo non servono agli obbiettivi di crescita, ma costituiscono uno spreco enorme di risorse. E finiscono per escludere il nostro Paese dallo Spazio europeo della mobilità. Occorre, in breve, individuare un criterio che faccia vivere ed essere competitivo un vero e proprio sistema in grado di alimentare i tre corridoi verticali (Reno Alpi, Brennero e Baltico Adriatico) oggi pressoché scarichi. Non ci si illuda: i nostri porti non diventeranno più competitivi soltanto grazie ad investimenti a pioggia nelle infrastruttura, né potranno con questo costituire un’alternativa ai sistemi del Nord Europa.

Secondo punto: è arrivato il momento di mettere mano alla riorganizzazione della logistica. Occorre impiegare le risorse europee, magari con un orizzonte di cinque anni, perché le imprese del settore investano sul mare e sul ferro, sia con riguardo alla alimentazione degli offdocks ( porto-retroporto) sia con riguardo al traffico di corridoio, una politica simile a quella avviata in questi anni dal porto di Trieste ma al servizio di un traffico ben maggiore. Ovviamente l’incentivo indicato può cumularsi con alcune misure di salvaguardia dell’ambiente, ad esempio, per proteggere le Alpi, l’Appennino e i nodi essenziali, oltreché con un riordino delle autostrade.

Non va poi taciuta l’importanza che la tecnologia digitale può avere per i traffici portuali. In questo senso la proposta del sindaco Bucci, contenuta nel suo programma all’attenzione del Governo, di promuovere un’area tecnologica al servizio dei traffici merita di essere presa in esame anche in altri contesti.

Va inoltre promossa e sostenuta la ricerca. Oggi l’Università italiana e il sistema delle imprese è ancora in grado di proporre soluzioni tecnologiche evolute ma non per molto, perché la ricerca scientifica soffre specie in quelle aree disciplinari collegate alla logistica. Anche in questo caso, tuttavia,  occorre premiare i progetti meritevoli, possibilmente per consentire a ragazzi di valore di crescere in Italia.

Da ultimo sono essenziali alcune misure su appalti e concessioni. Da una parte i progetti strategici dai quali dipende la competitività del Paese è  bene siano integralmente regolati dalle direttive europee in materia evitando il gold plating e, cioè,  le sovrastrutture contenute nel d.lgs.50 del 2016. Inoltre occorre evitare il cosiddetto “abuso del ricorso” per il quale in Italia paghiamo un prezzo altissimo.

Dall’altra parte è innegabile che il nostro sistema di regolazione e controllo è molto debole. L’interesse generale e l’interesse nazionale, ce lo insegna proprio il nuovo diritto europeo che si sta oggi formando, vanno presidiati da funzionari professionali e indipendenti.

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