«E’ sul traffico rotabile, e sulle sinergie da attivare sul lato delle connessioni terrestri, che porti come quello di Livorno si giocano il proprio futuro». E’ questa la convinzione di Oliviero Baccelli, esperto di primissimo piano nel settore dell’economia dei trasporti.
Raggiunto al telefono da Port News, il docente universitario della Bocconi ha voluto commentare quanto dichiarato da Gian Enzo Duci nel corso di una intervista rilasciata nei giorni scorsi sulle colonne della nostra testata, rimarcando che sui Ro/Ro possono aprirsi inedite prospettive di sviluppo per i mercati di riferimento. Non soltanto per Trieste ma anche per gli scali portuali del Tirreno.
«Duci sottolinea come Livorno e Genova abbiano, a differenza del porto giuliano, un mercato di riferimento molto più regionale. La natura delle loro cathment area – è la tesi espressa dal vice presidente di Conftrasporto – renderebbe meno conveniente lo sviluppo dell’intermodalità ferroviaria per l’inoltro della merce rotabile ai mercati di riferimento. Non condivido la sua opinione» ribatte Baccelli.
«Casi come quello dello scalo portuale della città dei Quattro Mori – spiega – dimostrano che la modalità del trasporto intermodale per questo tipo di traffico è conveniente laddove la tratta terrestre risulti prevalente su quella marittima; nel traffico RO/RO potrebbero svilupparsi per Livorno, ma anche per Genova, importanti occasioni di crescita, a prescindere dalla natura tipicamente regionale dei propri mercati».
L’esperto fa osservare come sul lato marittimo il trasporto di un carico di container risulti essere in linea di massima più efficiente rispetto a quello dei semirimorchi: «Il motivo è semplice: con i box da venti o quaranta piedi un vettore riesce a saturare meglio la stiva che non con i rotabili» sottolinea, citando a titolo di esempio la compagnia di navigazione Grendi, che predilige trasportare contenitori anche nelle breve distanze, ad esempio nelle tratte tra Marina di Carrara e Olbia o tra Marina di Carrara e Cagliari.
Nelle catene di trasporto più complesse, dove la tratta marittima va ad integrarsi con una tratta terrestre più lunga, risulta invece più conveniente trasportare semirimorchi rispetto ai container. Il perché è presto detto: «Con i suoi 13,6 metri di lunghezza un semirimorchio è in grado di valorizzare al meglio il trasporto stradale». Non solo: «I costi di movimentazione della merce rotabile sono di solito minori rispetto a quelli di imbarco e sbarco di un container. E questa convenienza sul lato portuale compensa la minore efficienza del trasporto marittimo dei RO/RO rispetto a quello dei contenitori».
E qui si torna al caso di Livorno: «Lo scalo portuale labronico potrebbe sfruttare le potenzialità offerte dall’intermodalità mare-ferro per rafforzare i collegamenti con Verona e da lì inoltrare la merce su altre tratte di media-lunga distanza, verso i mercati della Baviera. Si potrebbe anche pensare di creare dei flussi merce per i quali diventerebbe assai conveniente, ad esempio, spedire semirimorchi dalla Germania via ferrovia verso Livorno e da lì via mare verso Valencia, in Spagna».
Non è un sogno ma un traguardo che potrebbe essere a portata di mano una volta completati i lavori di adeguamento del traforo appenninico e reso quindi possibile il transito dei semirimorchi via treno sulla tratta Prato-Bologna. «I lavori sono oggi in fase di realizzazione e dovrebbero concludersi tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026» ricorda Baccelli, che sottolinea però come oggi diventi fondamentale per il porto toscano conseguire ulteriori risultati in direzione di un ulteriore efficientamento delle operazioni logistiche e portuali.
Il professore universitario della Bocconi prende a riferimento i porti spagnoli come modello da seguire: «In Spagna – dice – esistono per i traffici Ro/Ro moderni sistemi di controllo telematico dei semirimorchi. Che vengono pesati e misurati in via automatica ai gate portuali».
Non solo, «gli aspetti procedurali vengono gestiti tutti in modo digitale e questo aumenta notevolmente gli standard di sicurezza a livello generale, favorendo lo shift modale mare/strada o ferrovia anche delle merci di maggiore pregio, come i tabacchi e i cosmetici».
Chi trasporta tali prodotti, infatti, «vuole avere la garanzia che i propri semirimorchi vengano controllati h24 dal momento in cui vengono sbarcati nel piazzale sino al momento in cui escono dal gate portuale. Fornire questo tipo di servizi innescherebbe, non solo a Livorno ma anche negli altri porti specializzati nel traffico rotabile, dei meccanismi virtuosi a favore dell’intermodalità».
Un altro tema da affrontare riguarda l’Europa e le sue politiche finalizzate alla decarbonizzazione del trasporto via mare. «L’estensione al trasporto marittimo del Sistema di Scambio delle quote di emissione di Co2 rischia di favorire il tutto strada rispetto all’intermodalità marittima, che da oggi risulta essere molto più costosa» ammette l’esperto economista dei trasporti.
Come noto, da quest’anno le navi devono acquistare e trasferire permessi (“EUAs”) per ogni tonnellata di emissioni CO2eq rilasciata nell’atmosfera durante un anno solare. Nel 2025 le società di navigazione saranno tenute a restituire il 40% delle emissioni verificate e comunicate durante il 2024, nel 2026 tale percentuale salirà al 70% per le emissioni comunicate nel 2025 e a partire dal 2027 dovranno, in pratica, pagare, indipendentemente dalla nazionalità o bandiera della nave, per il 100% delle emissioni GHG generate nelle tratte intra-EU e per il 50% delle emissioni GHG nelle tratte internazionali da o verso uno scalo europeo.
Da una ricerca della Bocconi effettuata su 60 navi Ro/R0 Ro/pax battenti bandiera italiana e operate da Moby, GNV e Grimaldi, è emerso che nel 2026 la conformità ai nuovi obblighi di legge potrebbe tradursi per i vettori in un 17% in più di extra costi. «Le stime dell’impatto dell’ETS sono stata fatte prendendo a riferimento sia i valori attuali dei contratti relativi al prezzo delle quote di emissione (European Union Allowances – EUA), pari a 90 dollari a tonnellata, sia quelli futuri, più elevati, previsti dalla Commissione Europea e dalla Banca Europea degli Investimenti» spiega Baccelli.
«Ne deriva che nei prossimi anni potrebbero essere raccolti da queste 60 navi tra gli 89 e i 180 milioni di euro da utilizzare per le politiche di sostenibilità ambientale. Tali risorse dovrebbero essere usate per ridurre il traffico su strada a vantaggio dell’integrazione del trasporto marittimo a corto-medio raggio nella catena intermodale e per favorire l’efficientamento delle navi dal punto di vista energetico e digitale, dal momento che tra le unità navali analizzate sono poche quelle dotate degli stessi standard di qualità di una nave della classe ECO di Grimaldi».
Secondo il docente universitario della Bocconi si tratta di una strada obbligata, a meno che non si voglia trasformare l’ETS in un’arma impropria da usare a danno dell’integrazione dei flussi marittimi con quelli terrestri. «A settembre del 2025 l’Italia dovrà gestire attraverso il MIT l’80% dei fondi che arriveranno nelle casse dello Stato con il Sistema di Scambio Europeo delle quote di emissione. Si tratta di un fondo che nel prossimo futuro verrà alimentato in modo consistente. Avere una chiara idea di come utilizzare tali risorse sarà determinante. Per questo occorre che l’Europa e il nostro Paese elaborino quanto prima una propria visione di lungo respiro che favorisca il trasporto intermodale quale alternativa al tutto strada».