A partire dal 1 gennaio 2020 l’uso di fuel con tenore di zolfo superiore allo 0,5% sarà bandito su scala mondiale. La data è ormai stata decisa e non ci sarà alcun ritardo. Lo ha confermato pochi giorni fa Edmund Hughes, responsabile Air Pollution and Energy Efficiency dell’International Maritime Organization (IMO), intervenendo a Singapore durante l’ultima Asia Pacific Petroleum Conference.
La macchina è quindi in moto e lo shipping si sta preparando all’ulteriore passo verso un’ancor migliore compatibilità ambientale dei trasporti via mare. Il tempo delle scelte è arrivato e si tratta di decisioni che si stanno dimostrando più difficili del previsto.
Per le new building le opzioni in campo sono due: usare combustibili a bassissimo tenore di zolfo (tra queste il Gas Naturale Liquefatto, più pulito ma più costoso rispetto ai bunker derivati dal petrolio) oppure montare degli impianti di pulizia dei gas di scarico, i cosiddetti scrubber.
Il GNL è una soluzione effettivamente praticabile solo dove è presente una buona logistica di distribuzione, altrove, come nel Mediterraneo e particolarmente in Italia, lo sarà se saranno risolte le maggiori problematiche legate all’approvvigionamento.
L’uso di bunker low-sulphur derivati dal petrolio (residuali desolforati, blend o distillati) o l’installazione di scrubber sono invece le uniche soluzioni applicabili alla flotta esistente. Circa l’uso dei nuovi combustibili stanno però emergendo perplessità in relazione alla stabilità dei blend e alla miscibilità tra loro di blend di origine diversa. Nei casi peggiori si può arrivare ad avarie dell’impianto di propulsione e quindi a problemi connessi alla sicurezza della navigazione.
L’installazione a bordo di impianti di lavaggio dei fumi è oggi una soluzione sufficientemente matura e può rivelarsi vantaggiosa perché è l’unica a consentire agli armatori di adattarsi alle normative IMO senza sacrificare il carburante tradizionale.
Considerato che tra low-sulphur e heavy-fuel c’è un differenziale di prezzo che si stima si aggirerà tra i 100 ed i 200 dollari a tonnellata e che installare uno scrubber su un motore da 20.000 kW può costare tra i 3 e 5 milioni di euro, tenendo conto del consumo annuale di combustibile è facile calcolare il tempo di ritorno dell’investimento per gli scrubber che, nella maggior parte dei casi, si aggira tra uno e due anni, ma questo ovviamente dipende anche dal profilo operativo della nave.
Si prevede che nel 2020 navigheranno circa 2.000 navi dotate di scrubber e si stima che nel 2023 arriveranno a 5.000. Sono numeri importanti, ma c’è da chiedersi quanto questa soluzione sia attrattiva per i fornitori di fuel.
La questione è se ci saranno (e in quale numero e con quali costi) fornitori di bunker tradizionale disponibili a impegnare capitali, depositi e bettoline per rifornire un numero di navi relativamente modesto. È plausibile che gli armatori in grado di stipulare dei contratti con i fornitori possano giovarsi con qualche certezza dell’installazione degli scrubber.
Esiste però il rischio che altri, dopo averli installati, possano essere comunque costretti a usare i più costosi fuel allo 0,5% di zolfo a causa dell’impossibilità di reperire il più economico fuel attuale.
Come si vede le soluzioni tecniche esistono e sono disponibili. Decidere quali tra queste privilegiare è invece tutt’altro che una scelta semplice, perché legata a parametri economici che a oggi sono non noti o aleatori.